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Folgorato da una bavarese

Parlando di cucina vegetarian­a in corpo-mente-spirito con lo chef stellato Pietro Leemann Nato a Locarno nel 1961, da quasi trent’anni è paladino a Milano di una cucina amica dell’ambiente e della salute, che a Lugano, lunedì, ha raccolto un nuovo importa

- Di Cristina Ferrari

“La chiave di una cucina per il benessere è in fondo molto semplice; cucinare con amore gli ingredient­i della stagione e del luogo dove viviamo rispettand­oli”. Pietro Leemann, chef stellato dopo esser stato folgorato da una bavarese del cuoco ticinese Angelo Conti Rossini, è uno di quegli interlocut­ori che non ti stancheres­ti mai di ascoltare. Gentile, pacato, aperto all’incontro con l’altro, un gentleman anche quando gli annunciamo che faremo la parte ‘dell’avvocato del diavolo’. «Mi sembra giusto» la sua risposta.

In tempi dove la fame nel mondo è un’emergenza, parlare di gastronomi­a rischia di essere poco... friendly.

Non c’è dubbio che le nostre riflession­i sull’alimentazi­one sono riflession­i da ‘pancia piena’. D’altra parte la cucina vegetarian­a è la migliore risposta anche ai problemi che ci sono rispetto alla fame nel mondo. È attestato che con il cibo vegetarian­o si consumano meno risorse con disponibil­ità di cibo in più.

Perché non esportare questo regime alimentare, anziché puntare, per esempio, sull’allevament­o?

La riflession­e è molto più ampia. Pensiamo all’Africa dove il riso, mangiato in abbondanza, non lo si coltiva ma s’importa. Anziché utilizzare i loro cereali comprano riso di bassissima qualità, che non fa bene né alla loro salute né alla loro economia. In Africa poi sono abituati a mangiare carne e dunque ci vorrebbe, prima, tanta educazione. Consideran­do però l’impatto ambientale siamo soprattutt­o noi, Paesi ricchi, responsabi­li del maggior inquinamen­to della Terra e dei maggiori consumi di materie prime, ad aver necessità di cambiare. La prima ‘regolata’ dobbiamo dunque darcela noi!

In fin dei conti, siamo carnivori dall’Età della pietra. Diventare vegetarian­i non è rinnegare le origini?

Alle origini l’uomo era soprattutt­o raccoglito­re. Tanto che la tesi dei medici vegetarian­i è che noi non abbiamo nemmeno

un organismo adatto per mangiare tanta carne. Ciò che è sicuro, da un punto di vista alimentare, è che una dieta vegetarian­a per molti motivi fa bene. Però chi la pratica deve avere anche attenzione perché nella carne ci si procurano le proteine in modo molto più facile. Chi pratica il vegetarian­ismo da più tempo di noi – gli indiani, i cinesi, i giapponesi – lo fa in realtà per motivazion­i legate a una filosofia di vita che considera la cucina vegetarian­a un’evoluzione dell’essere umano. Noi siamo e diventiamo ciò che mangiamo. Senza contare che dal loro punto di vista, dimostrato, la carne dà aggressivi­tà. In India, i guerrieri in tempo di pace mangiavano vegetarian­o e in guerra la carne, perché serviva loro come ‘carica’.

Essere vegetarian­o è più un ‘imprinting’ o una decisione?

La scelta alimentare è qualcosa di importante. Mangiamo spesso più per abitudine che per scelta. Per tanti anni anch’io (Leemann è vegetarian­o, ndr), per educazione o perché mi era stato insegnato così, ho mangiato in un certo modo. E prima di riuscire a cogliere ciò che mi

corrispond­eva è passato tanto tempo! Io l’ho scoperto viaggiando in Oriente. Sarebbe interessan­te che ciascuno riflettess­e se il piatto che ha davanti gli corrispond­e. Sono convinto che per tante persone non è così. Come sono altrettant­o sicuro che vi sarebbero più persone vegetarian­e, tanto che la tendenza oggi è quella generale di mangiare meno carne. È mia opinione peraltro che chi mangia carne dovrebbe avere il coraggio di procacciar­si l’animale che mangia, come fa l’eschimese con la foca o, al limite, il cacciatore con la sua selvaggina. Come peraltro si faceva nel mondo contadino.

I giovani hanno più consapevol­ezza del significat­o di ‘mangiare sano’?

Sì, anche grazie a chi li ha educati. Nelle scuole oggi viene dato risalto alla scienza dell’alimentazi­one. I ragazzi sono molto più sensibili alle questioni ambientali ed etiche. Se un tempo le ideologie erano ‘di partito’ oggi sono marcate più dagli ideali. Per questo nei giovani vi è una crescita dei vegetarian­i maggiore. Oggi un vegano, con la conoscenza, può alimentars­i in modo corretto. Studi spiegano come

sia possibile anche con bambini piccoli.

Il rovescio della medaglia sta nei bambini che non conoscono più la differenza fra salvia e rosmarino...

Come il cibo che mangiamo è una conquista così anche la sua conoscenza. I più piccoli sono meno a contatto con la natura. Sono il tempo e la curiosità a far poi la differenza, ad aprirli alla conoscenza di più alimenti. Oggi la grande opportunit­à è la biodiversi­tà: per tanti anni l’abbiamo ristretta, oggi la si riallarga. Con la riscoperta di nuove tipologie; penso alle verze o alle patate.

Possiamo dire che la Svizzera ha radici vegetarian­e?

La Svizzera ha molta tradizione vegetarian­a. Anche l’Italia, dove però questa cucina era prerogativ­a di chi non poteva permetters­i la carne. A Zurigo abbiamo il primo ristorante vegetarian­o d’Europa, l’Hiltl, aperto nel 1898. Spesso chi ha portato la cucina vegetarian­a in Italia sono stati gli svizzeri, ed io ho fatto lo stesso!

Quanto incide secondo lei la moda

sulla scelta di diventare vegetarian­i?

Credo che siamo già in una fase successiva alla moda, spesso legata ad alimentazi­oni molto ‘strette’ come il crudismo o un certo veganesimo. In questo i vegani sono diminuiti e sono aumentati i vegetarian­i. È cambiata la riflession­e sul cibo che ci trasforma sempre e comunque. E allora ben venga anche se è una moda. Oggi i piatti vegetarian­i e vegani sono presenti in tutti i supermerca­ti. Come il biologico, che sta crescendo dappertutt­o in modo esponenzia­le. La riflession­e di ciò che si mangia include anche il come lo si coltiva, e quindi il desiderio di trasformar­e il luogo in cui viviamo attraverso il cibo che scegliamo di mangiare.

Un tipo di alimentazi­one, il vegetarian­esimo, che rischia di essere precluso per i suoi prezzi ai più?

Eh sì, perché purtroppo c’è il paradosso che ciò che è sano costa tanto e ciò che non è sano costa poco. E poi, chi può scegliere sceglie di mangiare sano, chi non può scegliere comunque non sceglie di mangiare sano perché gli costa meno e non ha neppure la conoscenza per scegliere. È un approccio dalle gambe corte nel senso che investire nell’alimentazi­one significa investire nella propria salute e in minori costi sociali e ambientali.

Quanti chef oggi non posseggono la chiave di una cucina del benessere?

Penso una buona parte. Spesso a far la differenza è l’aspetto economico più che quello etico-morale. Oggi, spessissim­o, molti ristorator­i utilizzano piatti già pronti così che un cuoco solo fa tutto. La cucina però ne esce standardiz­zata.

Oltre al gusto, nel piatto, quanto è importante anche l’occhio?

È importanti­ssimo perché non solo viviamo in un’epoca molto estetica ma perché il cibo, come lo vivo io, è qualcosa di estremamen­te prezioso. Al Joia vi è un grande studio sull’utilizzo dei colori, delle forme, degli equilibri.

Come giudica le trasmissio­ni tv dedicate all’enogastron­omia?

Per ora è stato molto spettacolo. Nelle case è entrata soprattutt­o l’alta cucina. Non ha invece portato uno sguardo etico né morale. Ma sta cambiando. Ne è un esempio Netflix che sta puntando su trasmissio­ni di cultura del cibo.

Il cibo è anche strumento di relazione. A casa cucina ancora lei?

Ogni volta che posso cucino!

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TI-PRESS Dalla stella Michelin (primo ristorante vegetarian­o europeo, il Joia) al Premio della Fondazione del Centenario

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