Il coraggio di osare, sconosciuto ai più
A volte è successo, come martedì pomeriggio, ieri, che il sito di Swissbasketball fosse in tilt e non sia stato possibile raccogliere dati statistici che avrebbero potuto darci un’idea di quanto è stato sviluppato dalle varie squadre in questo primo mese. In ogni caso, viste alcune partite, sia dal campo sia in streaming, ci è parso di capire che non vi sono grandi sussulti verso l’alto in fatto di tecnica e novità tattiche, per non parlare dei nuovi virgulti che dovrebbero approdare nelle prime squadre. Tutte, o quasi, presentano le stesse caratteristiche dello scorso anno e, sinora almeno, di giovani in campo se ne sono visti poco. Anche quando una squadra è molto avanti nel punteggio e i rischi facilmente calcolabili. Una certa alternanza si sarebbe potuta vedere. Invece no, anche con compagni avanti di 2025 punti. Non parliamo dell’Olympic che, disponendo di una maxi panchina, si può permettere di mandare a segno ben 11 giocatori, un lusso che nessuno può eguagliare. Le si avvicinano Ginevra e Neuchâtel, ma per le altre è molto dura. Il motivo è semplice: non si è lavorato a sufficienza nei settori giovanili e quindi non ci sono ricambi generazionali di un certo spessore. Va detto che, con l’apertura ai giocatori di passaporto svizzero che evolvono all’estero, cosa bloccata sino allo scorso anno, si è potuto reperire un certo numero di giocatori che sono venuti a completare in maniera dignitosa le varie squadre, compensando appunto il vuoto generazionale. Poi sarà il campo a dirci quanto tali scelte siano state opportune, ma per il momento le facce nuove non mancano, sono giocatori che hanno frequentato college e università americani e quindi, solitamente, dotati di quei fondamentali di cui sono spesso carenti gli svizzeri: velocità, palleggio, arresto e tiro, blocchi, tagliafuori e meccanica di tiro sono spesso molto latitanti e quindi ben si capisce come siano chiamati a un lavoro specifico gli allenatori, che però non hanno sempre il tempo per dedicarsi ai fondamentali. Anche perché, le squadre con tutti professionisti ci stanno sulle dita di una mano, mentre le altre viaggiano a ritmi di allenamento (quelli con l’intera rosa a disposizione) a scartamento ridotto. E quando ci sono tutti, è giocoforza preparare schemi d’attacco e movimenti di difesa perché è la partita che incombe ad avere il sopravvento. Siamo quindi al solito discorso delle coperte corte, un fattore che accompagna spesso il nostro basket e che fa il paio con le risorse “corte”, altrimenti non avremmo i due campionati maggiori con solo 11 squadre maschili e 7 femminili. Materiale su cui meditare non manca, ma c’è chi lo fa?