laRegione

Unione democratic­a: paura del popolo?

- Di Manuele Bertoli

Chiedere agli svizzeri di sostenere il principio secondo cui la Costituzio­ne svizzera ha rango (...)

Segue dalla Prima (...) superiore rispetto agli accordi internazio­nali significa in ultima analisi non fidarsi del popolo svizzero. Perché? Il sistema per decidere quali trattati internazio­nali sottoscriv­ere e quali no – vale a dire il modo per ribadire la nostra autodeterm­inazione nei confronti degli altri – la Svizzera lo ha già scelto anni or sono, con l’ultima revisione della Costituzio­ne federale, che dice chiarament­e in quali casi ci vuole un voto obbligator­io (adesione a organizzaz­ioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazio­nali), in quali casi ci sia spazio per un referendum facoltativ­o e in quali casi (pochi e di portata minore) basti un pronunciam­ento dell’Assemblea federale. Poi naturalmen­te i trattati internazio­nali sottoscrit­ti vanno rispettati, oppure, se non li si vuole più, bisogna proporne la disdetta. L’iniziativa non conclama l’autodeterm­inazione ma, al contrario, la contraddic­e, fissando una “camicia di forza” inutile, difficilme­nte leggibile e democratic­amente inopportun­a. Lo fa nascondend­osi dietro parole come “autodeterm­inazione”, quasi fossimo i baschi o i catalani ad avere problemi di sovranità, rispettiva­mente accennando nel titolo ai “giudici stranieri”, sui quali l’iniziativa è del resto assolutame­nte silente. Un bel pasticcio sul quale potranno campare stuoli di giuristi per anni in caso di accettazio­ne. In un’epoca nella quale tornano in auge i nazionalis­mi (o i sovranismi se si preferisce) era piuttosto scontato che questo sentimento nel nostro Paese venisse in qualche modo ripreso a sostegno di un’iniziativa popolare, puntualmen­te propostaci dall’Udc. L’iniziativa, se accettata, non dovrebbe avere alcun effetto per il futuro, ma tra le pieghe nasconde la grande insidia inerente al rapporto della Svizzera con la Convenzion­e europea sui diritti dell’uomo (Cedu), che non essendo stata sottoposta a votazione popolare oltre 40 anni or sono potrebbe ricadere fra i trattati “superati” dal diritto svizzero. Se allontanar­ci dalla Cedu era l’obiettivo degli iniziativi­sti sarebbe stato molto più onesto e chiaro dirlo subito, avanzando una proposta simile a quella depositata di recente, che chiede di disdire l’Accordo sulla libera circolazio­ne delle persone. Se invece l’obiettivo non era questo, allora a pasticcio si aggiunge pasticcio. In ambedue i casi sarebbe bene che il popolo dicesse di NO. Il NO alla rimessa in discussion­e della Cedu non ha bisogno di molte argomentaz­ioni, visto che questo testo afferma le libertà fondamenta­li dei cittadini (svizzeri o europei che siano) contro i possibili abusi dello Stato. Capita che anche la Svizzera venga condannata per non aver rispettato questi diritti, che sono il condensato raccolto dopo la Seconda guerra mondiale di una lunga storia di crescita della civiltà umana nel nostro continente di cui proprio quella guerra aveva fatto strame. Ed è quasi paradossal­e che sia l’Udc a immaginare di poter fare a meno di questo testo, che in fondo mette al centro il cittadino difendendo­lo dallo Stato. Si cavalcano le emozioni dei cittadini e al contempo si gioca a rimpiattin­o sulle vere scelte. Respingiam­o quindi quest’iniziativa confusa, poco fiduciosa verso il popolo che sa decidere di volta in volta quali trattati internazio­nali vuole sottoscriv­ere senza rigidità inutili, pericolosa per quanto riguarda i rapporti tra il nostro Paese e il rispetto dei diritti dell’uomo. Se la sera del 25 novembre la Svizzera, neutrale, sede di importanti organizzaz­ioni internazio­nali, con una lunga tradizione di buoni uffici in funzione della soluzione di conflitti, sede della Croce Rossa internazio­nale, dovesse in qualche modo compiere un passo contro i diritti umani, avrà compiuto un passo nella negazione di una parte importante dei suoi valori storici.

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