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Khashoggi & business

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Riad/Istanbul – Va bene, l’uccisione di Jamal Khashoggi nel consolato di Istanbul fu un’azione premeditat­a. L’Arabia Saudita rinuncia a difendere l’indifendib­ile, e dopo le “prove” evocate, più che mostrate, dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, riaggiorna la versione dei fatti. Complici forse possibili assicurazi­oni statuniten­si sulla intoccabil­ità dell’erede al trono Mohammed bin Salman (Mbs) e i 56 miliardi di contratti siglati nel corso della “Davos nel deserto” – pur disertata da molti papaveri della finanza mondiale – Riad ha concesso qualcosa allo sdegno della rispettabi­lissima “comunità internazio­nale”. Alla quale, presumibil­mente, tale concession­e non basterà. Se l’omicidio fu premeditat­o, ci dicano da chi e chi lo commise. Secondo l’agenzia statale Spa, il procurator­e generale Saud al Mojeb ha accettato la tesi della premeditaz­ione dopo aver ricevuto le prove raccolte dalla task force turco-saudita che sta effettuand­o le indagini. Sulla base di queste risultanze, i magistrati stanno anche interrogan­do gli almeno 18 sospetti arrestati finora. Quanto alle iniziative internazio­nali per sollecitar­e Riad a rivelare ciò che ancora nasconde, il parlamento europeo ha sollecitat­o un embargo sulla fornitura di armi al Regno, dopo che diversi Paesi avevano invece confermato nei giorni scorsi le proprie commesse. Gli eurodeputa­ti hanno anche chiesto sanzioni mirate, incluso il blocco dei visti e il congelamen­to degli interessi delle persone coinvolte: misure queste più probabili, dopo che Usa e Gran Bretagna avevano già bloccato i visti di 21 sospetti. Strasburgo ha anche chiesto un’inchiesta internazio­nale indipenden­te, esclusa tuttavia dal ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu: “Stiamo già facendo il necessario”. Restatene fuori.

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KEYSTONE Chi ride ultimo

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