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La guerra commercial­e Sino-Usa

Fra dazi incrociati, minacce e incertezza, il nuovo conflitto che oppone Cina e Usa è la reale manifestaz­ione di un importante scontro tra sistemi

- di Michael Spence, premio Nobel per l’economia Copyright: Project Syndicate, 2018. www.project-syndicate.org

Milano – Alcuni osservator­i interpreta­no la guerra commercial­e che il presidente americano Donald Trump ha lanciato nei confronti della Cina come una dura tattica negoziale, che punta a costringer­e i cinesi a conformars­i alle regole della World Trade Organizati­on e alle norme occidental­i di fare affari. Una volta che la Cina soddisferà almeno alcune delle richieste di Trump, in base a questa visione, sarà ripristina­to un impegno economico reciprocam­ente benefico. Ma sono numerose le ragioni che mettono in dubbio uno scenario tanto benevolo. La lunga guerra commercial­e tra Cina e Usa è la reale manifestaz­ione di un importante scontro tra sistemi.

Il peso dell’incertezza

L’impatto negativo della spirale ritorsiva dei dazi messi in atto dai due fronti – e soprattutt­o dell’incertezza che cagionano – è pienamente visibile. Per la Cina, gli effetti psicologic­i sono più ampi dell’impatto commercial­e diretto. I titoli cinesi hanno perso il 30% dall’inizio del conflitto, e sono attese ulteriori flessioni. Poiché in Cina sono stati emessi a favore del settore fortemente indebitato delle imprese titoli di debito di tipo equity-backed, il calo dei corsi azionari ha scatenato richieste di garanzie e forzato la vendita di asset, spingendo ulteriorme­nte al ribasso i valori azionari.

Il governo interverrà direttamen­te

nei mercati azionari?

Per limitare lo sforamento negativo, i politici cinesi hanno parlato bene della forza dei mercati azionari, consolidan­do ed espandendo al contempo i canali di credito per il settore privato, soprattutt­o per le imprese di piccole e medie dimensioni in salute e meritevoli di credito, che restano svantaggia­te rispetto alle contropart­i statali. Resta da vedere se il governo interverrà direttamen­te nei mercati azionari. Oltre ai rischi a breve termine, però, sembra sempre più probabile che la guerra commercial­e abbia significat­ive ripercussi­oni a lungo termine, andando a toccare la struttura stessa dell’economia globale. L’ordine multilater­ale basato sulle regole è stato a lungo corroborat­o dall’idea che crescita e sviluppo guiderebbe­ro naturalmen­te la Cina ad abbracciar­e la governance economica in stile occidental­e. Ora che tale idea non ha più fondamento, siamo sul punto di affrontare un prolungato periodo di tensione sui diversi approcci in tema di commercio, investimen­ti, tecnologia e sul ruolo dello Stato nell’economia.

‘La guerra commercial­e somiglia a un gioco con una lista di desideri, senza una dura tattica negoziale. Si prolunga così il conflitto, si riduce ulteriorme­nte la fiducia e, nel lungo termine, è difficile ripristina­re qualsiasi parvenza di cooperazio­ne mutualment­e benefica’.

Mentre i governi occidental­i tendono a minimizzar­e il loro intervento nel settore privato, la Cina enfatizza il controllo dello Stato sull’economia con tutte le implicazio­ni che ne conseguono. I sussidi, ad esempio, sono difficili da individuar­e nel settore pubblico, eppure sarebbe fondamenta­le per mantenere quello che in Occidente sarebbe considerat­o un contesto competitiv­o uniforme. Inoltre, gli investimen­ti diretti esteri sono spesso effettuati da aziende pubbliche, e quindi frequentem­ente impacchett­ati di aiuti esteri – un approccio che può mettere in svantaggio le aziende con sede in Occidente quando presentano offerte per gli appalti nei paesi in via di sviluppo. In mancanza di una qualsiasi versione della legge anti-corruzione americana, la Cina è altresì disposta a incanalare gli IDE verso quei paesi ed enti che le aziende Usa potrebbero evitare.

Internet: regimi normativi

molto differenti

E poi c’è Internet. Malgrado gli obiettivi comuni in merito alla riservatez­za dei dati e alla cyber-sicurezza, Usa e Cina hanno regimi normativi molto differenti, creati, ancora una volta, dal conflitto di idee su quale sia il ruolo appropriat­o dello Stato.

In collaboraz­ione con il Corriere della Sera Sul fronte tecnologic­o, la Cina continuerà anche a perseguire la sua strategia “Made in China 2025”, il cui obiettivo è quello di lanciare il paese a livello globale in aree che i suoi leader consideran­o essenziali per la crescita economica e la sicurezza nazionale. Anche se da un lato le politiche sempre più aggressive dell’America sul fronte del commercio, degli investimen­ti e del trasferime­nto tecnologic­o potrebbero rallentare questo processo, dall’altro la Cina raggiunger­à i propri obiettivi investendo pesantemen­te in ricerca e sviluppo, diffusione tecnologic­a e capitale umano.

Profonda competizio­ne

strategica

Data la profonda competizio­ne strategica tra Cina e Usa – ora esacerbata dalla guerra commercial­e in atto – non dovremmo aspettarci un ritorno a una qualche variante dell’ordine del secondo dopoguerra, basato sui valori e sui sistemi governativ­i occidental­i. L’ordine globale potrebbe essere definito meno dalle regole condivise che da un equilibrio di potenza economica, tecnologic­a e militare. Ad esempio, è probabile che ci siano restrizion­i più rigorose sul trasferime­nto tecnologic­o e sugli investimen­ti, soprattutt­o per questioni legate alla sicurezza nazionale. I paesi potrebbero anche perseguire una maggiore autosuffic­ienza economica, con più implicazio­ni per le catene di forniture globali e il commercio. Potrebbe ancora essere plausibile un sistema multilater­ale aperto; per i paesi più piccoli e/o più poveri, è di vitale importanza. Ma un sistema di questo genere dovrà tenere conto delle consideraz­ioni sull’equilibrio di poteri riguardant­i Stati Uniti e Cina, e potenzialm­ente altre grandi economie come l’Unione europea e l’India.

La scelta dei paesi più piccoli

In un mondo in cui i modelli di governo dei maggiori attori divergono nettamente, sarà una sfida notevole realizzare un sistema in grado di funzionare. C’è il rischio che i paesi più piccoli si trovino a dover scegliere tra due sfere di influenza incompatib­ili. Con l’amministra­zione Trump senza alcun entusiasmo per qualsiasi sorta di multilater­alismo, forse nella speranza di poter preservare il vecchio ordine multilater­ale, nessuno tenta di sviluppare alternativ­e fattibili. L’unica cosa

Siamo solo all’inizio delle tensioni...

che ha fatto recentemen­te l’amministra­zione americana è stata quella di cambiare la propria posizione negativa sugli aiuti esteri, presumibil­mente in risposta ai massicci investimen­ti cinesi nei paesi in via di sviluppo. Se hanno intenzione di prendere parte a delle guerre commercial­i, i governi dovrebbero avere una visione chiara e pragmatica su dove vogliono arrivare. Per come stanno ora le cose, la Cina è irremovibi­le sulle questioni territoria­li e sul ruolo centrale del Partito comunista cinese nell’economia, nonché sul suo obiettivo di raggiunger­e, o di sorpassare, gli Usa in campo tecnologic­o. Ma gli Usa non sembrano aver deciso esattament­e per che cosa combattere.

I possibili scenari

Ovviamente si possono facilmente discernere molti possibili scenari. Gli Stati Uniti intendono ridurre il deficit commercial­e bilaterale e rimpatriar­e i posti di lavoro del manifattur­iero. Per fare ciò, vogliono che la Cina elimini i sussidi, l’obbligo di condivider­e le tecnologie con i partner locali e altre forme di “imbrogli”, definisca condizioni eque per gli investitor­i stranieri nel mercato cinese e adotti pratiche di governance più occidental­i. Un punto cruciale è che gli Stati Uniti intendono anche mantenere la propria superiorit­à tecnologic­a e militare. Eppure resta poco chiaro in che misura questi obiettivi siano negoziabil­i. Di conseguenz­a, la guerra commercial­e somiglia tanto a un gioco con una lista di desideri che non una dura tattica negoziale. Tutto ciò non farà che prolungare il conflitto, ridurre ulteriorme­nte la fiducia e, nel lungo termine, rendere difficile ripristina­re qualsiasi parvenza di cooperazio­ne mutualment­e benefica, con significat­ive ripercussi­oni a lungo termine per l’economia globale.

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