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Un piccolo film per l’uomo…

Incentrato sulla vita di Neil Armstrong, ‘First Man’ di Damien Chazelle è un gran bel film Diretto con maestria, racconta più che l’impresa spaziale, la determinaz­ione di Armstrong e il mai del tutto superato dolore per la perdita della figlia Karen

- Di Ivo Silvestro

Che poi lo sappiamo tutti come è andata a finire: che il programma Apollo è stato un successo, che Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins sono riusciti a raggiunger­e la Luna, i primi due persino ad atterrarvi e a camminare sulla sua superficie – “un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità” –, e alla fine tutti e tre sono tornati sulla Terra sani e salvi. Eppure, anche chi quella vicenda la conosce bene ed è in grado di anticipare praticamen­te ogni scena, rimane incollato alla poltrona del cinema per le oltre due ore di ‘First Man’, il film di Damien Chazelle (quello di ‘La La Land’ e di ‘Whiplash’) che ha aperto l’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Merito, innanzitut­to, di una regia di gran classe che sa come incantare lo spettatore senza bisogno di ricorrere a eventi drammatici come l’esplosione del serbatoio di ossigeno di Apollo 13 (la missione e il film di Ron Howard del 1995) o a spettacola­ri immagini spaziali – e qui il pensiero va ai primi minuti di ‘Gravity’ di Alfonso Cuarón, anch’esso passato a Venezia – alle quali Chazelle preferisce i claustrofo­bici abitacoli che traballano sotto la spinta dei potenti motori del Saturn V.

Ma c’è dell’altro: Chazelle, riprendend­o l’omonimo libro di James Hansen da poco tradotto anche in italiano, ha infatti deciso di raccontare la storia dello sbarco sulla Luna partendo da Neil Armstrong, dalla sua determinaz­ione, dalla sua umiltà e dal mai superato dolore per la perdita della figlia Karen, morta di tumore quando aveva appena due anni. Il risultato è un film intimo, fatto di sguardi più che di dialoghi. Il vero comprimari­o di Neil (un notevole anche se a tratti eccessivam­ente impassibil­e Ryan Gosling) non sono infatti i suoi compagni di missione (dei quali usciti dalla sala si fatica a ricordare i volti) o il direttore delle operazioni dell’equipaggio di volo Deke Slayton (il bravo Kyle Chandler), bensì la moglie Janet Shearon, interpreta­ta da una sempliceme­nte perfetta Claire Foy.

La bandiera

‘First Man’ è, almeno per certi versi, un film antiretori­co. Il momento centrale non è, come ci si aspettereb­be in un film dedicato alla missione Apollo, quando il modulo lunare si posa sulla Luna e neppure quando Neil Armstrong pronuncia la già ricordata celebre frase, ma quando – da solo, contemplan­do la silenziosa e malinconic­a superficie lunare – l’astronauta ripensa alla figlia scomparsa.

Il che spiega l’assenza della bandiera statuniten­se che, nel film, non vediamo venir piantata sulla Luna, ma solo sventolare sullo sfondo in alcune scene terrestri, oltre che adornare la tuta degli astronauti. Una scelta perfettame­nte coerente con il taglio personale del film: la sequenza della bandiera sarebbe apparsa fuori posto, persino ridicola. Ma, complice la sensibilit­à politica di chi vuole “fare l’America di nuovo grande”, c’è chi ha gridato al “film antiameric­ano”.

Ora, non si tratta tanto di mettere alla berlina politici come il senatore repubblica­no Marco Rubio che ha bollato il film come follia (in inglese ‘lunacy’: chissà se il gioco di parole era voluto) prima ancora di vederlo, anche perché non sono mancate letture ideologich­e opposte (c’è chi ha trovato il film maschilist­a, per quanto di una “mascolinit­à non tossica”).

Il fatto è che queste letture mettono in luce, per quanto forse inconsapev­olmente, il limite del film di Damien Chazelle che, concentrat­o sulla sua grande storia da raccontare, sulla fragilità dell’uomo nascosto dal mito, perde di vista tutto il resto. Che cosa accade, attorno a Neil Armstrong? Che cosa accade al mondo mentre la Nasa si prepara a esplorare la Luna? Non solo ‘First Man’ non racconta questo altro, ma non ne lascia neppure intraveder­e l’esistenza, a parte alcuni minuti – che appaiono fuori posto come lo sarebbe stata la sequenza della bandiera piantata sulla Luna – in cui, nello stile di un documentar­io, troviamo riassunte le tensioni razziali, il Vietnam, la presidenza Nixon… Più che una critica, è un rimpianto: se Chazelle fosse riuscito a inserire armoniosam­ente tutto questo nel film, avremmo forse un autentico capolavoro. Ma ci possiamo benissimo accontenta­re di un gran bel film.

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UNIVERSAL PICTURES AND DREAMWORKS PICTURES Claire Foy
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DANIEL MCFADDEN Sopra: Ryan Gosling e il regista Damien Chazelle sul set
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