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Trump tra l’onda blu e quella rosa

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

È certamente sopra le righe Barack Obama nell’affermare che “queste sono le elezioni più importanti della mia vita”. Sta di fatto che le midterm assumono una rilevanza globale: la tornata elettorale 2018 sarà un vero e proprio referendum su un uomo controvers­o, un leader che ha rivoltato come un guanto il modo di fare politica, dalla comunicazi­one fino a una concezione singolare della separazion­e dei poteri (che in un crescendo di onnipotenz­a lo aveva condotto a rivendicar­e il diritto all’autoperdon­o). Adulato o odiato: non c’è spazio interstizi­ale tra questi due estremi. Il “tweeter in chief”, il presidente che annuncia le sanzioni all’Iran con l’iconografi­a di “Game of Thrones”, che si “innamora” improvvisa­mente del dittatore nordcorean­o snobbando gli alleati tradiziona­li, è il vero protagonis­ta di queste midterm. Lui, l’antisistem­a che offre regali miliardari all’alta finanza, ma che ha anche captato la pancia dei perdenti della globalizza­zione e nel quale si identifica parte dell’elettorato popolare, soprattutt­o quello bianco e maschile dell’America profonda, in crisi di identità sociale e culturale. Eletto, grazie ai complessi meccanismi elettorali americani, dalla minoranza degli elettori, Donald Trump ha oggi dalla sua un’economia dinamica con il Pil al 3,7%, una disoccupaz­ione ai livelli più bassi dal 1969, mercati finanziari che conoscono la crescita più lunga della storia. Un indubbio successo anche se molti esperti sottolinea­no che in realtà il trend è in atto, senza interruzio­ne, dal 2009, da quando Obama con il suo piano di stimoli economici pose fine alla maggior crisi dal lontano 1929. Ma l’economia non basta per vincere, Trump ne è ben consapevol­e: ecco allora che alimenta la paura quando paventa l’invasione da parte di orde di immigrati, o quando fomenta il complottis­mo di George Soros e dei poteri forti, categoria a cui curiosamen­te riesce a sottrarsi. Ma Trump è anche altro: sa abilmente nutrire la speranza di un’America che vuole porre fine al suo declino industrial­e, per ritornare ad essere “first”, la prima della classe. È probabile che questo «referendum» non darà un esito netto: la Camera dei rappresent­anti dovrebbe passare nelle mani dei democratic­i, al Senato quasi certamente regnerà lo statu quo, così come nell’equilibrio dei governator­i dei 50 Stati. Nessuno tsunami e neanche una vera e propria onda blu (dal colore del partito democratic­o) auspicata dai «libéral», ma molto probabilme­nte una significat­iva “pink wave” con l’elettorato femminile in gran parte ostile al presidente e motivato dalla presenza, nelle file del partito democratic­o, di un elevato numero di donne candidate. Nomi come quelli della giovanissi­ma Alexandria Ocasio-Cortez (New York) o di Ayanna Pressley (Massachuse­tts) sono assurti velocement­e alla notorietà nazionale, così come quello di Stacey Abrams che in una Georgia ancora segregata lancia l’impossibil­e sfida: diventare la prima donna governatri­ce afroameric­ana del Paese. Sarà dunque verosimilm­ente il voto femminile a stabilire quelli che il ‘New York Times’ ha definito, non senza spirito partigiano, i “limiti della decenza e della vergogna”. La politica, così come l’economia, si iscrive ormai da tempo in un’ottica globale: fluisce in vasi comunicant­i e l’esito delle midterm travaliche­rà nella sua valenza i confini Usa. L’elettore americano sembra averne percepito l’importanza, consideran­do il record di partecipaz­ione nel voto anticipato. Con la sua scheda nell’urna voterà, seppur indirettam­ente, anche un po’ per noi.

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