Finanza sostenibile
Non chiamatela finanza etica. Termine che evoca una gestione del denaro condizionata da principi di ordine morale o religioso, ritenuti preminenti rispetto alla ricerca del profitto. È più corretto definirla sostenibile.
Sostenibile perché chi abbraccia questo approccio all’investimento non vuole rinunciare al guadagno, intende perseguirlo, però, senza ignorare il tema della tutela ambientale, l’impatto dell’attività d’impresa sulla società, la trasparenza e la legittimità delle scelte di chi guida le aziende: fattori sintetizzati nell’acronimo Esg (Environment, social, governance), che oggi trovano spazio crescente nei processi decisionali dell’industria del risparmio gestito. Secondo l’ultimo Global sustainable investment review, le masse riconducibili all’investimento socialmente responsabile hanno sfiorato i 23mila miliardi di dollari nel 2016, pari al 26% dell’asset management globale. L’Europa vale da sola oltre la metà dell’universo Sri (Socially responsible investing). «Negli ultimi due anni, il Vecchio continente ha continuato a crescere a doppia cifra, benché a un ritmo un po’ più lento rispetto al biennio precedente: un consolidamento è fisiologico», spiega Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile, anticipando i risultati dello European Sri Study, il report biennale sull’investimento responsabile che sarà presentato il 26 novembre a Bruxelles. «L’Italia ha registrato in molte strategie un passo più rapido rispetto agli altri Paesi. In particolare quelle che escludono determinati settori dall’universo investibile, tipicamente armi e tabacco, o si basano sull’attività di engagement: il caso dei grandi investitori che intrattengono un dialogo con le imprese per indirizzare i manager verso decisioni orientate alla responsabilità sociale e ambientale. Si osserva di pari passo una performance brillante dell’impact investing, che identifica gli investimenti focalizzati su specifici progetti a elevato impatto sociale – chiarisce Bicciato – ad esempio in campo sanitario o di sviluppo delle infrastrutture». Se il mondo Sri attira un interesse crescente da parte degli investitori in tutto il mondo, è anche perché l’integrazione tra analisi finanziarie e criteri Esg ha consegnato risultati attraenti in termini di performance.
L’ipotesi è che le aziende che si comportano meglio godano di un vantaggio competitivo nel lungo termine rispetto a quelle meno responsabili
Una ricerca realizzata da Banor sim con il Politecnico di Milano sull’andamento dell’indice Euro Stoxx 600 negli ultimi cinque anni, ha dimostrato che i titoli con un rating Esg più elevato (secondo il giudizio di Thomson Reuters Eikon), hanno ottenuto un rendimento cumulativo dell’86%, il 16% in più rispetto alle società meno sensibili ai temi della sostenibilità. Analogamente, negli ultimi dieci anni, l’indice azionario sostenibile Msci world Sri ha sovraperformato di circa 10 punti percentuali il tradizionale Msci world. E nel caso dei Paesi meno sviluppati, il divario tra Msci emerging markets e il corrispettivo paniere Sri supera addirittura i 25 punti percentuali, da maggio 2011.
Vantaggio competitivo nel lungo termine
Come si spiegano questi dati? «L’ipotesi è che le aziende che si comportano meglio godano di un vantaggio competitivo nel lungo termine rispetto a quelle meno responsabili — osserva Giancarlo Giudici, docente di finanza aziendale presso la School of Management del Politecnico di Milano —. Da un lato, i consumatori tendono a premiare, con le proprie scelte, le aziende più virtuose. Dall’altro guidare l’azienda secondo criteri di sostenibilità porta benefici in termini di efficienza».
Nuovi investitori…
Ecco perché i filtri basati sui parametri Esg possono fare bene anche al portafoglio: integrando i tradizionali criteri di analisi utilizzati dagli investitori, aiutano a identificare le società meglio attrezzate a gestire rischi di natura extra-finanziaria: le meno esposte, quindi, a possibili sanzioni dei regolatori, problemi reputazionali e conflitti con i vari portatori di interesse (azionisti, lavoratori, comunità locali), che possono inficiare i risultati aziendali. Anche i risparmiatori al dettaglio hanno iniziato da tempo a fare propria questa consapevolezza, benché il mercato italiano ed europeo continui ad essere guidato da investitori istituzionali. Secondo una recente indagine realizzata da Doxa e Forum per la finanza sostenibile su un campione di mille risparmiatori italiani, il 45% si dichiara propenso a investire in prodotti Sri.
Una tendenza particolarmente accentuata tra le nuove generazioni e tra i detentori di grandi patrimoni, come rileva un’altra ricerca condotta da Us Trust Bank of America.
… e nuove norme
Un’ulteriore spinta alla crescita degli investimenti sostenibili in Europa potrebbe provenire dal quadro normativo che va delineandosi. «Il 2018 è stato interessato da importanti sviluppi, come il report dell’Hlfg, high-level expert group on sustainable finance, l’Action plan della Commissione e la risoluzione del Parlamento a sostegno della finanza sostenibile. Su queste basi – ricorda Bicciato – un gruppo di esperti sta lavorando per elaborare una classificazione dell’investimento Sri, nuovi standard di qualità per i green bond e non solo. Anche il mercato italiano si sta preparando per accogliere le novità attese da Bruxelles».