‘HU_robot’: ne vedremo delle belle
Segue da pagina 22 La coreografia di Ariella Vidach non è una sfida tra mobilità organica e inorganica ma, al contrario, la ricerca di un dialogo. Non sempre facile: nella prima fase dello spettacolo – ma in effetti ancora prima dell’inizio, quando tutti i ballerini, umani e robotico, si riscaldavano sulla scena aspettando che si spegnessero le luci in sala – vi era più che altro indifferenza reciproca. Il punto di svolta si è avuto quando il braccio robotico ha acceso la telecamera (ma potremmo anche dire che ha “aperto gli occhi”), proiettando sulle grandi pareti bianche quello che vedeva; quando poi alcuni danzatori hanno indossato degli occhiali da realtà aumentata, partecipando al gioco di visioni e proiezioni incrociate, l’interazione è stata completa e si è avuto, appunto, lo scorcio del futuro di cui si diceva, un futuro in cui, magari, troveremo robot-danzatori anche in spettacoli di danza “normali”, senza mettere al centro della coreografia il rapporto tra organico e inorganico come hanno fatto con intelligenza Vidach e Prati. Ma è un futuro che non è ancora presente, e se i danzatori del Balletto di Roma sono stati bravissimi nel dialogare con la controparte robotica, il braccio snodabile presentava ancora alcuni limiti, il principale dei quali era il suo restare fisso, senza potersi spostare sul palco.