La commedia umana
Intervista a Duccio Chiarini, regista di ‘L’ospite’
Un imprevisto, una discussione con la fidanzata e Guido si ritrova a dover lasciare casa, iniziando a girovagare, ospite di amici e parenti...
Una commedia come ce ne vorrebbero di più: brillante, intelligente, ben scritta e interpretata. ‘L’ospite’ di Duccio Chiarini, adesso nelle sale dopo aver affrontato Piazza Grande all’ultimo Locarno Festival, è la storia di Guido (un bravo Daniele Parisi), la cui vita apparentemente tranquilla si mostra in tutta la sua precarietà quando la fidanzata Chiara (Silvia D’Amico) gli confessa i suoi dubbi sulla loro vita di coppia, dalle frustrazioni lavorative ai sughi che la madre di lui continua a proporre e imporre. Costretto dagli eventi a lasciare l’appartamento, Guido inizia un pellegrinaggio di casa in casa, ospite di genitori e amici, scoprendo anche lì crisi e fragilità. Situazioni tutt’altro che insolite, e infatti «ogni mattina, prima di iniziare le riprese, qualcuno della troupe mi raccontava che conosceva, o gli era capitato, qualcosa di simile a quello che stavamo per girare» ci racconta il regista toscano, a Lugano per presentare il film.
Quindi, perché si ride guardando ‘L’ospite’? Per la paradossalità di quel che accade o al contrario per la sua familiarità?
Penso che nel film si rida innanzitutto perché c’è un elemento di riconoscimento: le situazioni si sentono come vere, conosciute ma, allo stesso tempo, si riesce ad apprezzarle nella loro follia. Mi viene in mente quando Lucia confessa a Guido, nonostante sia incinta del suo compagno, di essere ancora innamorata dell’ex; lui le dice “sono passati dieci anni!” e lei risponde: “Otto”. Non è il momento in cui si ride di più, ma ti fa ridere che una persona possa essere così affettuosamente legata a quel momento dell’incontro da voler puntualizzare quanti anni sono passati – nonostante, in quel momento, ci siano problemi ben più grandi da affrontare. O ancora, i sughi della mamma, le mutande da maschio: sono stereotipi che sentiamo vicini e che ritroviamo in queste situazioni un po’ assurde…
È per questo che ha scelto la forma della commedia per affrontare il tema delle crisi di coppia?
È il modo in cui io vedo le cose, in cui racconto e mi racconto le cose: questo sguardo che cerca la profondità ma che non è mai esente da un tentativo di riderci, di ironizzare, di trovare una leggerezza. Poi, sì, il tema è serio, ci sono componenti psicologiche profonde, ma comunque si tratta di problemi da mondo sviluppato… Comunque, questo mio modo di raccontare è un po’ la mia cifra, è un modo che quasi viene prima delle storie da raccontare, una lente attraverso cui guardo il mondo. Qui mi aveva colpito l’immagine di questo zattera – il divano – attraverso cui uno naufraga nelle vite degli altri…
È questo il senso del titolo, essere ospiti delle vite degli altri?
Sì. Da una parte, quella dell’ospite è una condizione esterna, esteriore: l’ospite che naufraga e capita nelle case altrui. Ma al contempo Guido appare ospite della sua stessa vita in un momento in cui viene ridefinita e lui non la riesce a gestire. Ma in generale tutti i personaggi di questo film sembrano un po’ ospiti, non in casa loro ma nelle loro vite, in questa dimensione di non determinatezza, di liquidità come si dice oggi.
Tutti i personaggi, ma in particolare quelli maschili: mi sembra che le donne del film, pur essendo anche loro disorientate, sappiano almeno affrontare la situazione.
Penso che sia un segno dello spicchio di società su cui mi concentro: persone molto educate, che hanno fatto degli studi, che tendono magari a intellettualizzare alcuni aspetti della vita. E in questo forse gli uomini risentono di tale ipersensibilità.
C’è stato un personaggio più difficile da gestire degli altri?
Difficile no, però ogni personaggio ha le sue particolarità. Per esempio, per Giovanni, l’amico di Guido, cercavo una vena di malinconia: non volevo il personaggio del donnaiolo impenitente anni Ottanta, tipo l’alter ego dei film di Verdone o Manuel Fantoni, ma uno di quelli che continuano a fare casini enormi ma che si sentono vittime dei loro comportamenti… Non uno sciupafemmine che si vanta, ma che si lamenta che non riesce a trovare la persona giusta. Si lamentano ma continuano a fare casini, e questo mi fa abbastanza ridere.