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Le badanti, vestali del nostro tempo

- CLO

Arrivano, anche loro con la propria storia, una vita, un personale carico di sogni e paure; portano cura, conforto, un sorriso, a volte amore a chi sta attraversa­ndo l’ultima stagione della propria vita; si fanno carico degli ultimi gesti, le ultime parole con cui dare un ordine e forse un senso alla prova dell’infinito, spengono la luce quando tutto è concluso. Poi se ne vanno anche loro, per ricomincia­re altrove, un’altra famiglia, un’altra vita da accompagna­re nei suoi ultimi giorni; coltivando ora dopo ora il ricordo della propria casa, il sogno del ritorno, un giorno. Denso di emozione e d’ironia – come forse ogni sguardo saggio rivolto alla vita e alla morte – ‘Natasha ha preso il bus’ di Sara Rossi Guidicelli ha debuttato giovedì al Teatro Sociale. A partire da un testo originale che, grazie alla virtù dell’ascolto, s’immerge con rispetto nel proprio tema, senza strafare questo è uno spettacolo che rivela la qualità a cui possono mirare anche le produzioni ticinesi. Diretto con mano leggera ma sicura da un punto di riferiment­o come Laura Curino, ha rivelato al pubblico tutto il talento e l’energia trascinant­e di Ioana Butu, molto ben assecondat­a dalla fisarmonic­a di Daniele Dell’Agnola. La sera della prima l’attrice rumena ha tenuto la scena per 80 minuti, con non più di un paio di leggerissi­me sbavature. Per il resto in modo notevole ha dato voce e corpo ai personaggi che si avvicendan­o sulla scena, passando con disinvoltu­ra dalla battuta comica all’intensità lirica, fino al canto; trovando così l’emozione e il riso del pubblico, grazie anche al suo lavoro sottile sulla mimica facciale e sugli accenti delle donne rumene, ucraine, polacche, albanesi… Se Ioana Butu – con il sorriso (fino all’ultima trasformaz­ione, splendida nella sua incandesce­nte gravità) – dà consistenz­a allo spirito del testo dell’autrice ticinese, Dell’Agnola sa dialogare con lei sul palco; attraverso la musica contribuis­ce a creare un ambiente sonoro, lo definisce, asseconda più che giocare sul contrappun­to, sottolinea parole, pensieri ed emozioni; quando non esprimibil­i in altro modo, li evoca. Da parte sua Laura Curino, con pochi tocchi, con una scena essenziale e un uso sapiente delle luci, lascia che lo spettacolo in un certo senso fiorisca da sé. A circoscriv­ere lo spazio dell’azione e forse, nelle intenzioni, a scandire il tempo (l’unico aspetto che ci pare non proprio riuscito), il coro muto delle valigie di chi ogni giorno parte, sperando un giorno di ritornare. Tutto avviene sotto gli occhi del pubblico, niente è celato, al centro restano le voci. Applausi lunghi e meritati.

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Questa sera al Teatro Sociale

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