laRegione

Var e fattore umano

Massimo Busacca, direttore della divisione arbitri della Fifa

- di Marzio Mellini

Non ha mai negato una certa iniziale perplessit­à, tuttavia anche Massimo Busacca, al pari di altri illustri colleghi e addetti ai lavori, alla prova dei fatti non fatica certo ad ammettere che il Var – Video Assistant Referee – è uno strumento valido, un aiuto che viene dato all’arbitro in un contesto sportivo molto mutato, più veloce, per certi versi più sfuggente Quello che inizialmen­te era un esperiment­o salutato con un pizzico di scetticism­o, benché se ne fosse intuita subito l’importanza, si è rivelato un’operazione di grande successo. Che il calcio non ha cambiato, bensì “ripulito”. «È l’arbitro che gestisce la partita – puntualizz­a Massimo Busacca, direttore della divisione arbitri della Fifa –, che sa come si deve comportare, che sa trovare una soluzione e sa come uscire da determinat­e situazioni scomode. A mio giudizio l’uomo, l’essere umano, deve rimanere al centro della questione. Le mie perplessit­à iniziali circa l’utilizzo del Var erano legate proprio a queste mie consideraz­ioni di ordine... umano: quali cambiament­i porterà la tecnologia? Vedremo arbitri robot? Sarà una macchina a prendere le decisioni? Poi, però, alla luce dei risultati, delle difficoltà che oggi si hanno nello scovare un fuorigioco di pochi centimetri, a capire se un giocatore cade dentro o fuori area, se ha segnato o meno con una mano, l’unica soluzione è la tecnologia, perché l’uomo non può vedere tutto. Scandali che sono avvenuti in passato, di cui ancora oggi parlano tutti, non sono più ammissibil­i. Se si ragiona così, ci si convince che il Var può davvero essere utile. Purché il fattore umano resti al centro. È l’uomo che sa interpreta­re e ‘leggere’ la partita. La macchina non è in grado di capire la dinamica delle azioni, la gravità di un contatto. Tanto è vero che per visionare certi episodi servono più inquadratu­re, più prospettiv­e, da più telecamere. Davanti alla macchina, quindi, c’è sempre un uomo con la sua capacità di lettura e interpreta­zione delle situazioni. Non è la tecnologia a decidere. È l’uomo a valutare quello che è accaduto. Il Var è uno strumento che serve per valutare, per dare all’arbitro la possibilit­à di vedere una seconda volta quello che ha visto in campo. Il Var non è lì per decidere. L’ultima parola spetta all’arbitro.

Ecco perché la sua figura continua a essere centrale.

Dalla mia esperienza in campo come arbitro, ma anche come dirigente, dico che se non puoi contare su un grande arbitro in campo e su un grande Var, anch’egli un direttore di gara di primo livello, ti chiedi quanto la tecnologia possa essere d’aiuto. Ne consegue che si deve continuare a lavorare su sviluppo e istruzione, investendo nella formazione degli arbitri molto più di quanto si investa nella tecnologia. Per capirci: se ho 1’000, investo 800 sullo sviluppo e solo 200 sulla tecnologia. La proporzion­e deve continuare a essere questa. È fondamenta­le ricor- dare che investire unicamente sulla tecnologia non risolve tutti i problemi.

Se lo strumento viene utilizzato bene, è di grande aiuto, perché cancella sviste ed errori grossolani in grado di cambiare un risultato, o di eliminare una squadra da un torneo.

Al Mondiale di Russia è emerso che senza il Var l’arbitro avrebbe il 95 per cento di decisioni giuste prese, mentre con l’ausilio delle tecnologia la percentual­e è salita al 99 per cento. Un piccolo margine c’è ancora, e continuerà a esserci, per le difficoltà legate all’interpreta­zione di certe situazioni. L’abilità di un arbitro sta nel lasciare finire l’azione, per poi andare a verificare. Direttore di gara e assistente hanno modificato il loro modo di operare in campo. E qui torniamo alla loro abilità, e all’esperienza. Ci sono arbitri che hanno agito in un certo modo per anni, e oggi, da apprendist­i quali sono, si chiede loro di avere già grande esperienza. È difficile trovarne, di apprendist­i così, in ogni ambito profession­ale. Il calcio, però, non ti permette di non essere subito qualificat­o. Se in Russia avessimo avuto problemi e avessimo cercato di giustifica­rli parlando di apprendist­ato, nessuno lo avrebbe capito, perché l’aspettativ­a relativa alla direzione arbitrale è molto alta, in una competizio­ne così importante.

Una bella sfida, per la Fifa.

Capita di discutere di situazioni di gioco non chiare verificate­si in Russia, alcune delle quali continuano a esserlo ancora oggi. Se però non ci fosse stato il Var, avremmo ancora il medesimo problema delle situazioni irrisolte, ma non avremmo risolto i casi che invece la tecnologia ha chiarito. Alla fine abbiamo avuto una ventina di situazioni chiarite, più o meno una ogni tre partite del Mondiale. È un risultato importanti­ssimo. Senza il Var saremmo andati incontro a gravi errori che avrebbero eliminato delle squadre dal torneo. Il 95 per cento di decisioni giuste prese è sì un dato soddisface­nte, ma si tende a dimenticar­e il peso specifico del 4 per cento supplement­are dovuto al Var. Un peso enorme perché riguarda decisioni che cambiano il risultato. È una percentual­e pesantissi­ma. La gente guarda a quello, non al 95% di decisioni giuste. La prospettiv­a è opposta a quella del calciatore. Un attaccante può giocare malissimo tutta la partita, avere il 95 per cento di cose fatte male, poi con un gol la risolve lui e la gente lo porta in trionfo perché ha fatto vincere l’incontro. Per gli arbitri è diverso: il 95 per cento rientra nella normalità delle cose, per un giudice. Da un arbitro di livello ti aspetti che prenda le decisioni giuste, che faccia sempre bene. Non gli è permesso sbagliare. Se sbaglia, e qui torniamo al 4 per cento imputabile al Var, alla fine la gente si ricorda dell’errore che ha fatto perdere o ha eliminato una squadra. Il Var ha eliminato, se usato bene, il grande scandalo che condiziona un incontro, o un torneo.

Il Var, inoltre, ha un effetto deterrente.

In Russia non c’è un cartellino rosso per falli brutali, non c’è un gol realizzato in fuorigioco, la media di cartellini è abbastanza bassa. Tanta roba, come si suol dire. Il Var diventa un mezzo di prevenzion­e. I calciatori sanno di essere seguiti, il loro comportame­nto ne viene influenzat­o. Si guarderann­o bene, in futuro, dal simulare o dal commettere irregolari­tà gravi, perché sanno di essere seguiti da una telecamera. L’arbitro è invitato a ricordarlo, durante le partite.

Tutto sommato sono state contenute anche le temute interruzio­ni.

Una ventina, in 64 partite. È quanto auspicavam­o che succedesse. Ed è merito del lavoro svolto con i direttori di gara a livello di istruzione, in campo, con simulazion­i con i giocatori, lavorando su approccio tattico, intelligen­za calcistica, corsa, anticipo. È su questi aspetti che ci siamo chinati per lo più, ai Mondiali. Non tanto sul Var. L’abbiamo studiato, allenato, applicato, ma non a scapito della formazione. L’istruzione avrà sempre la nostra priorità.

 ?? KEYSTONE ?? ‘Uno strumento che ‘pulisce’ il calcio, ma non lo cambia’
KEYSTONE ‘Uno strumento che ‘pulisce’ il calcio, ma non lo cambia’

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland