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‘Per un arbitro non è poi così facile accettare di aver sbagliato’

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Qual è il livello generale degli arbitri? «È mediamente buono – risponde Busacca –, perché noi lavoriamo con i migliori. Detto ciò, alla luce di quanto facciamo noi a livello mondiale, ritengo che sull’arbitraggi­o si investa ancora troppo poco rispetto allo sviluppo del calcio, nel quale i soldi certo non mancano. In certe Confederaz­ioni non si investe sempre quanto andrebbe investito, e il livello degli arbitri ne risente. Ma nel complesso non ci possiamo lamentare». Quale è stata l’accoglienz­a riservata al Var, in un contesto di personalit­à di spicco abituate a prendere decisioni e a imporsi in campo? Ai direttori di gara è stato imposto un certo cambiament­o di... filosofia. «Per un arbitro essere in campo e dover ammettere di aver sbagliato non è facile. Cerca certezze, vuole che chi ha fatto un’osservazio­ne sia nel giusto. Ecco perché abbiamo detto che deve andare a rivedersi lui l’azione, per poi convincers­i. Non deve accettare il verdetto senza andare a prendere conoscenza dell’accaduto. Questo approccio gli ha permesso di capire che la tecnologia è lì per permetterg­li di fare andare avanti la sua carriera. È un processo che non è stato facile implementa­re. Anche al Mondiale ci sono stati episodi in cui un direttore di gara ha scelto di non andare a rivedere un’azione, e invece avrebbe dovuto. Accade perché a volte alcuni arbitri di grande personalit­à fanno fatica ad ammettere che hanno commesso un errore. Ma in quel caso, gli errori diventano due: il primo è il suo in campo, il secondo è la mancata visione delle immagini. Tutti si stanno però convincend­o di un fatto: la gente si ricorda della decisione che è stata corretta, non di quella sbagliata. Se l’arbitro, pur avendo fatto tutto per bene, seguendo le istruzioni e stando vicino all’azione, commette comunque un errore, sa che non viene penalizzat­o, e accetta più serenament­e l’aiuto della tecnologia. Non è stato un processo facile da introdurre. Io stesso ho voluto valutare di persona una direzione con il Var. Di fronte a miei errori di valutazion­e in un paio di situazioni, ammetto di aver avuto difficoltà: non è una dinamica così semplice, almeno non inizialmen­te». C’è un limite anche all’applicazio­ne del Var. «La tecnologia “pulisce” il calcio, ma non lo cambia. Fare pulizia significa evitare i grandi errori. È al servizio del calcio, ma va limitata. È importante capire dove fissare il limite oltre il quale non andare, per non avere troppe interruzio­ni (delle quali i calciatori, opportunis­ti, potrebbero approfitta­re), ma nemmeno dover fronteggia­re situazioni che in pochi istanti il Var potrebbe risolvere».

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