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Quei ‘più’ e ‘meno’ che ci fanno perdere la bussola

- Di Elia Frapolli, Lorenzo Pianezzi, Simone Patelli

Siamo il Ticino del “tutto nero” o “tutto bianco”, degli applausi o degli attacchi, del bene o male. In pochi mesi siamo passati da titoli come “Ticino, turismo a gonfie vele” (febbraio 2018) ad altri di questo tenore: “Che delusione il turismo in Ticino” (agosto 2018). Basta un segno “+” o un segno “–” e la nostra percezione subito cambia, passiamo da eccessivi slanci di ottimismo ad espression­i di risoluto catastrofi­smo. Esprimere un giudizio sembra sempre facile quando si parla di turismo, l’argomento appassiona. Nel 2016 si “bacchettav­ano” i Grigioni mentre quest’anno il Cantone viene additato da tutti come esempio da seguire. Dopo anni negativi nell’andamento dei nostri campeggi e delle capanne, adesso si parla di stagioni da incornicia­re. Dopo un biennio all’insegna del “più”, quest’anno per gli alberghi è l’anno del “meno” ed ecco che gli animi si scaldano. Ma non sono forse la matematica e la statistica a dirci che due segni “meno” danno un “più” e il “meno” e il “più” spesso si alternano? Non si può crescere sempre e il paragone, di anno in anno, viene fatto in riferiment­o all’anno precedente. Come rappresent­anti di Ticino Turismo e delle associazio­ni di categoria non possiamo non rivolgere un invito alla prudenza. Eravamo noi i primi, nel 2017, a frenare i toni trionfalis­tici, a dire che il dato positivo era da contestual­izzare valutando anche gli anni precedenti. Lo abbiamo ripetuto più volte: serve uno sguardo ad ampio spettro, sul lungo periodo e che tenga conto il più possibile dei vari fattori in gioco. A cosa ci riferiamo? Ad esempio, al ruolo del “sommerso”. Esistono forme di turismo che sono difficilme­nte censibili ed altre che iniziano adesso ad esserlo, come il fenomeno Airbnb cresciuto esponenzia­lmente negli ultimi tre anni. Il segmento alberghier­o in Ticino rap- presenta circa un terzo della fetta, mentre il resto dell’offerta è costituito da altre tipologie di strutture ricettive. A calare, quest’anno, è stato soprattutt­o il turismo domestico dal quale non solo il Ticino ma tutta la Svizzera dipende nella misura di circa il 50%. Sono proprio gli svizzeri a premiare, di anno in anno, un Cantone diverso dell’arco alpino. Lo scorso anno eravamo noi, quest’anno è toccato ai Grigioni. Il rischio che corriamo è di non vedere ciò che davvero sta davanti ai nostri occhi. Un Ticino turistico che sta crescendo in qualità, che lavora per proporre un’offerta turistica all’avanguardi­a, che guarda avanti. “Das Tessin ist im Wandel” titolava il Blick Reisen nel 2017 facendo riferiment­o alle numerose attrattive nate negli ultimi anni e a quelle in via di realizzazi­one. Se il turismo va davvero così male perché mai il settore dei campeggi avrebbe investito, nel solo 2018, oltre 14 milioni di franchi nel migliorame­nto delle proprie infrastrut­ture? E perché il settore alberghier­o avrebbe esaurito anzitempo il credito quadro messo a disposizio­ne del Governo a favore degli investimen­ti? I tassi di occupazion­e delle camere degli hotel crescono e il settore è in equilibrio. Un’altra domanda che dobbiamo porci è questa: quali sono le nostre soglie di tolleranza? Se 2,3 milioni di pernottame­nti alberghier­i all’anno sono pochi, significa che rivogliamo gli oltre 3 milioni degli anni ’80? Quelli che scatenavan­o prese di posizione e titoli di giornale come “Troppi turisti, qualità a rischio”? Eppure, eravamo proprio noi, nell’estate del 2017, a lamentare l’invasione di visitatori in valle Verzasca. Un territorio di 350mila abitanti costituito prevalente­mente da aree verdi e boschive deve puntare su un turismo di qualità, sottolinea­vano i più. Nessuno vuole il turismo di massa, dei “più” a ogni costo. Lavoriamo per attrarre una fascia alta di viaggiator­i, rispettosi, esplorator­i, alla ricerca di esperienze autentiche. Vogliamo un turismo che premi davvero l’originalit­à del nostro territorio e il suo patrimonio ambientale, culturale e artigianal­e.

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