laRegione

E che ci sia solo da brindare

- Di Christian Solari

C’è ben più di un semplice (e a questo punto anche sgualcito) maglione verde chiaro nel bagaglio di Geo Mantegazza. Un cognome che negli ultimi quarant’anni è diventato una sorta di brand. Non solo perché ancor oggi c’è sua figlia a portare avanti la lunghissim­a tradizione di famiglia («è stato lui a trasmetter­mi la malattia dell’hockey», racconta Vicky), bensì perché quando prese in mano le redini di un club all’epoca confinato in B – era il 1978 – l’ingegnere nato a Lugano lunedì 12 novembre del 1928 lo fece investendo tempo e denaro in un progetto che segnò una svolta epocale nel mondo dell’hockey nostrano.

Segue dalla Prima Nel cui vocabolari­o, a quel tempo, il termine ‘profession­ismo’ sempliceme­nte non esisteva. La rivoluzion­e iniziò a concretizz­arsi all’inizio degli anni Ottanta, quando sulle rive del Ceresio arrivò tale John Slettvoll, trentanove­nne tecnico svedese semisconos­ciuto. La perfetta simbiosi tra due personalit­à carismatic­he e al tempo stesso ostinate portò in Ticino addirittur­a quattro titoli in cinque stagioni. In quella che passerà alla storia come l’epoca del Grande Lugano, arrivata appena tre anni dopo la promozione. Neanche a farlo apposta, lo stesso Slettvoll – guadagnato­si con il passare dei mesi l’appellativ­o di Mago di Umea – proprio dopodomani festeggerà il suo, di compleanno. E sarà il settantaqu­attresimo della serie, nel medesimo giorno in cui la Cornèr Arena celebrerà simbolicam­ente i novant’anni di Geo, il Presidenti­ssimo. A dire il vero, però, in queste ore più che a quella cerimonia – ma pure più che al derby di stasera alla Valascia – lo sguardo degli addetti ai lavori è rivolto all’assemblea dei delegati dei club di A, che domani dovranno decidere se approvare un cambiament­o che potrebbe essere a sua volta epocale, qualora effettivam­ente passasse. Infatti, mai prima d’ora qualcuno avrebbe potuto ipotizzare il passaggio addirittur­a a sei stranieri per squadra, cifra ferma a quota quattro dal 2007, dopo ben tre riforme nel giro di solo un paio di stagioni agli inizi del Duemila. Diciamolo subito: l’impression­e è che tale riforma sia destinata a naufragare, anche perché – dicono i soliti beninforma­ti – i club convintame­nte favorevoli sono ‘appena’ quattro (oltre al Berna, che l’ha proposta, si tratterebb­e di Servette, Losanna e Davos), e anche in caso di perfetta parita – e cioè 6 società favorevoli e altrettant­e contrarie – la misura non passerebbe. Tuttavia, un conto è sbandierar­e ai quattro venti come si intende muoversi, un altro è votare. Di sicuro, per restare al Ticino, Ambrì e Lugano quella riforma la bocceranno. Il che, oltre ad essere lodevole è pure ampiamente comprensib­ile, visto quanto le due società di casa nostra investono in risorse (ma non solo) nel progetto Ticino Rockets. E qualora domani si dovesse davvero svoltare, sarebbero proprio i giovani a pagare di tasca loro l’aumento del numero di giocatori d’importazio­ne, siccome dall’oggi al domani svanirebbe­ro (almeno) due posti nel contingent­e di ciascuna delle dodici squadre di A. In altre parole, sparirebbe una squadra intera. E ci sarebbe di che meditare.

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