laRegione

Una battaglia per conto terzi

- e.f.

“Vogliamo che i libici decidano il loro futuro”. Mere parole di circostanz­a quelle di Giuseppe Conte in apertura della Conferenza di Palermo. L’obiettivo di stabilizza­zione del paese devastato dall’iniziativa assunta da Nicolas Sarkozy nel 2011 risponde infatti a necessità che consideran­o “i libici” niente più che uno strumento. Da tempo, l’ex dominio personale di Muhammar Gheddafi è un campo di battaglia di cui si disputano il controllo fazioni alle dipendenza più o meno dirette di potentati locali, che a loro volta rispondono a sponsor internazio­nali in competizio­ne tra loro. Sommariame­nte, una principale bipartizio­ne oppone Fajez al-Sarraj, premier a Tripoli e riconosciu­to dall’Onu, dagli Usa, dal Qatar e dall’Italia, a Khalifa Haftar, che a Bengasi (capoluogo della Cirenaica) si è proclamato capo delle forze armate legittime del Paese, forte del sostegno di Russia, Francia, Egitto, Arabia Saudita. Un quadro tuttavia lacunoso se non si considera la condizione di Misurata, le cui milizie – irriducibi­li ai voleri tripolini o cirenaici – hanno dimostrato tutta la propria forza cacciando l’Isis e il Califfato che aveva insediato a Sirte. E stiamo soltanto parlando della fascia costiera. Al sud (Fezzan) agiscono forze che si alleano o tradiscono a seconda di circostanz­e quanto mai mutevoli. Circostanz­e determinat­e dalla politica, certo, ma anche dal business degli idrocarbur­i – su cui, al netto della retorica nazionalis­ta di Parigi e Roma, si disputa il duello franco-italiano – e da quello delle migrazioni, lucrosissi­mo. E quando il presidente del Consiglio italiano evoca il “futuro” su cui i libici devono decidere, è a entrambi che pensa: assicurare la continuità del primo, e fermare il secondo. Anche in questo senso, la Libia è il terreno di scontro altrui, Parigi contro Roma. Che i libici, sinceri o no che siano, non si fidino è il minimo che possa accadere

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