laRegione

Gilet gialli e giustizia sociale

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

C’è già chi nel movimento intravede l’espression­e di un prurito populista con tracimazio­ni fascistoid­i. Per intenderci una versione transalpin­a del trumpismo e del salvinismo (qualcuno, in Italia, ricorderà il movimento dei “forconi”). Così ‘l’Obs’, settimanal­e della rive gauche parigina che fionda a mo’ di titolo un esplicito “Gilet jaunes, idées courtes”. “Gilets jaunes, idées rouges” si potrebbe invece sintetizza­re il pensiero di Jean-Luc Mélenchon, vanitoso arruffapop­olo della sinistra radicale di Lfi (La France Insoumise). I giubbotti gialli del movimento 17 novembre, per il novello Robespierr­e, costituire­bbero il nucleo di una jacquerie spontanea: il Popolo (la P non può che essere maiuscola) sovrano si ribella all’establishm­ent e – come no? – ai “poteri forti”. Qualcuno ricorda però en passant che l’aumento delle tasse sul gasolio, ragione stessa della protesta, era iscritto a chiare lettere nel programma elettorale dello stesso Mélenchon. E non poteva di certo mancare lei, Marine. L’occasione di salire sul proscenio sotto i riflettori mediatici era troppo ghiotta. I duecentomi­la e passa giubbotti gialli che hanno inscenato blocchi stradali, sit-in, picchetti sono per Madame Le Pen l’avanguardi­a del sano e ruvido populismo in stile “tea party” che potrebbe ridare lustro a un’estrema destra fiacca. La collera anti-tasse non piega comunque il governo. La transizion­e ecologica ha un costo, non si cambia rotta ha ribadito il premier Edouard Philippe. Chapeau per coerenza e coraggio politico. Il programma è chiaro, votato dai francesi. Non può dunque essere in balia dei venti che soffiano regolarmen­te alimentati dalla “grogne”, il malcontent­o, giustifica­to o meno, di un Paese che necessita di cambiament­i ma che non pare mai disposto a rinunce. Dopo la partenza polemica del popolare ministro dell’Ambiente Nicholas Hulot, Emmanuel Macron ha voluto recuperare, non senza riservare un pensierino alle europee del prossimo anno, il terreno perso accelerand­o con l’arma fiscale il progetto di transizion­e ecologica. Può dunque far specie assistere a manifestaz­ioni contro il caro benzina, mentre nessuna folla si è mai radunata in Francia per l’emergenza ambientale. Così come non possono lasciare indifferen­ti dichiarazi­oni come quella di Jacline Mouraud, la pasionaria dei giubbotti gialli, autrice del video dai 6 milioni di visualizza­zioni, che sostiene, impettita, di non voler mollare per nulla al mondo il suo caro vecchio Suv diesel. Come dire: ho il diritto di inquinare come e dove voglio. E pure a costi contenuti. Ma sarebbe errato pensare che la protesta evidenzi unicamente uno scontro tra virtuosi ambientali­sti e folle di ultras delle energie fossili a prezzi popolari. La protesta ci dice qualcosa di significat­ivo sulla spaccatura sociale. In particolar­e su quella identifica­ta dal sociologo Christophe Guilluy: la frattura tra la Francia urbana (più ricca, istruita e che ha a disposizio­ne servizi pubblici e trasporti efficienti) e quella periurbana e rurale, in buona parte dimenticat­a dalla globalizza­zione. Anche se, come ricorda l’Eliseo, il potere d’acquisto dei francesi è mediamente salito quest’anno (+1,3%), un quarto circa della popolazion­e non ne ha tratto nessun beneficio. “Non sono ancora riuscito a riconcilia­re i francesi con la loro classe dirigente” aveva umilmente ammesso l’altro giorno Macron. Per riuscirci dovrà certamente conciliare anche l’impegno ecologico con la giustizia sociale.

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