Frena l’edilizia: ‘È inevitabile’
Dopo la contrazione nell’edilizia i licenziamenti: ‘Non solo le grandi, altre ditte in sofferenza’ Con la conferma del taglio di venti posti di lavoro alla Garzoni Sa di Lugano riflessione su un mondo del mattone che dopo i record macina... rallentamenti
Dopo i primi tagli annunciati nel settore, nostro approfondimento su un mondo del mattone che dopo quindici anni di record su record macina... rallentamenti e ristrutturazioni.
Dopo la ristrutturazione avviata nelle scorse settimane alla Ennio Ferrari Sa di Lodrino (costretta a lasciare a casa i ‘dipendenti particolari’ perché non impiegabili su cantieri dell’Alto Ticino bloccati dall’arrivo dell’inverno), il vento della frenata del mattone è giunto nel Luganese con l’annunciato taglio di venti posti di lavoro alla Garzoni Sa. «Due ditte importanti per grandezza e fatturato – ci spiega il sindacalista di Unia Dario Cadenazzi –; se, infatti, la Garzoni è la più grande del Sottoceneri, la Ennio Ferrari è la prima in Ticino. E se è questo il motivo per cui fanno rumore, non le nascondo che vi sono diverse altre ditte che sono sicuramente altrettanto in sofferenza». Se resta il fatto che la Garzoni è stata, per i sindacati, “un fulmine a ciel sereno” (ieri il primo incontro fra le parti), se sul settore aleggia la non facile trattativa per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro, se i lavoratori negli ultimi 4-5 anni non hanno ricevuto aumenti, «la grossa rabbia – come non manca di evidenziarci Cadenazzi – è che ciò capita in un momento in cui il volume del lavoro è ancora alto, perché ricordiamolo si sono battuti e ribattuti record! Logicamente, ci si poteva aspettare l’impossibilità di viaggiare sempre a quel livello... Sono ad ogni modo convinto che una crisi come quella degli anni Novanta sia da scongiurare o, meglio, sia scongiurata; però è chiaro che degli aggiustamenti potrebbero arrivare, anche sulla manodopera, ed è questa la nostra maggiore preoccupazione».
Dai dati dello sfitto ai lavori aggiudicatisi sottocosto: i punti che minacciano il futuro
Dopo quindici anni che si è macinato su alti livelli, una flessione non può perciò essere esclusa: «I dati dello sfitto sono dati che non c’erano fino a poco tempo fa e che preoccupano, anche per una certa immigrazione che avrebbe rallentato, soprattutto su Lugano» rimarca il sindacalista. Una realtà di grande
espansione, quella fatta di cazzuole e puntelli, che è lì tutta da vedere: «L’edilizia ha beneficiato per anni del vento in poppa, ha viaggiato a tutta velocità – riporta la fotografia della regione il nostro interlocutore –; basterebbe guardare plasticamente il profilo di una città come Lugano e notare come è cambiata, pensiamo a Brè, ma anche alla Collina d’Oro, zone completamente rifatte, a Paradiso. Abbiamo casi abbastanza ‘violenti’, ammettiamolo non è che sia bello quello che si vede...». E perché, in tutto ciò, è il personale che deve essere chiamato ai sacrifici? «Spero davvero – risponde ai nostri interrogativi Cadenazzi – che nel processo di valutazione questa sia veramente l’ultima ratio. La manodopera, va ribadito, è know-how, è conoscenza tecnica. Prima di tagliare sul personale ci sono altre misure che si possono intraprendere». Del resto i sindacati hanno più volte lanciato l’allarme: «Ci siamo spesso dichiarati preoccupati soprattutto quando si opera in sottocosto, quel sottocosto strutturale che porta ad uscire con delle offerte che sostanzialmente non stanno in piedi, ad entrare nei vari concorsi con prezzi inferiori pur di aggiudicarsi il lavoro, che se da una parte mira a evitare licenziamenti, dall’altra, alla lunga, assolutamente non paga perché poi qualcuno scoppia... ed è questa la grossa paura». Un settore che si è dovuto confrontare anche con casi di malaedilizia «che hanno rovinato il settore portando via lavoro a prestatori interni, la posa del ferro ne è un esempio, quando si sarebbe potuto costruire un settore sano. Invece è stato portato via lavoro anche alle ditte medio-piccole che si vedono al giorno d’oggi costrette a fare i salti mortali. I vecchi imprenditori che creavano riserve, che reinvestivano, che quando necessario si modificavano non esistono più» conclude Cadenazzi.