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Frontalier­i, accordo affondato

La ratifica del testo parafato nel 2015 è saltata per decisione del parlamento italiano Per i deputati del Movimento 5 Stelle Currò e Invidia, eletti a Como e Varese, ‘il testo era troppo punitivo nei confronti dei nostri connaziona­li’

- Di Marco Marelli

L’accordo parafato nel dicembre 2015 da Italia e Svizzera sul nuovo sistema fiscale dei frontalier­i? Colpito e affondato. La ratifica da parte del parlamento italiano è stata bloccata a seguito di una mozione presentata dai parlamenta­ri del Movimento 5 Stelle Giovanni Currò (Como) e Niccolò Invidia (Varese): “Oltre ad aver ottenuto il blocco della discussion­e parlamenta­re sull’accordo che andava a colpire ingiustame­nte i frontalier­i, nell’ambito della manovra di Bilancio 2018, in sede di commission­e Finanze, abbiamo presentato un emendament­o per i sussidi di disoccupaz­ione dei frontalier­i” rilevano i due. L’attenzione verso i frontalier­i da parte dei giovani parlamenta­ri pentastell­ati, entrambi poco più che trentenni, si comprende con il fatto che sono elettori dei bacini di loro competenza. L’obiettivo dell’emendament­o è quello di togliere per i primi cinque mesi il tetto massimale che attualment­e è di 1’200 euro mensili. Introdotta nel 2012, questa misura prevedeva un tetto massimo di 1’000 euro, poi salito agli attuali 1’200: indennità identica a quella percepita dai lavoratori in Italia. Un tetto massimo previsto indipenden­temente dello stipendio percepito prima della perdita del lavoro. “È pronta anche un’interrogaz­ione per sapere che fine hanno fatto i 280 milioni di euro versati all’Inps in misura identica da frontalier­i e datori di lavoro ticinesi – dicono i due parlamenta­ri –. Capitali che dovevano essere utilizzati a favore dei frontalier­i disoccupat­i, e che non sappiamo che fine hanno fatto”. Dunque, una serie di iniziative da parte di Currò e Invidia. La più significat­iva è sicurament­e quella che sembra aver definitiva­mente mandato in soffitta il nuovo sistema fiscale dei frontalier­i che, già approvato a tutti i livelli da Berna, attendeva il via libera del parlamento italiano per diventare operativo. “Così come è stato redatto e sottoscrit­to dalle due delegazion­i non va bene, essendo troppo punitivo nei confronti dei frontalier­i”, tagliano corto i due parlamenta­ri. Con il governo verde-giallo, essendo la Lega sulla stessa lunghezza d’onda, l’accordo sottoscrit­to a Milano nel gennaio 2015 dai ministri delle Finanze di Svizzera e Italia, al termine di trattative durate tre anni, per la parte riguardant­e i frontalier­i e Campione d’Italia, è diventato carta straccia. Rimane intatto, invece, l’accordo fiscale che consentiva alla Svizzera di uscire dalla black list. Si è dunque polverizza­to iI lavoro fatto dalle due delegazion­i guidate da Jacques de Watteville, che all’epoca guidava la Segreteria di Stato per le questioni finanziari­e internazio­nali, e dall’economista Vieri Ceriani, già alto dirigente della Banca d’Italia, sottosegre­tario alle finanze con il governo Monti, e all’epoca consiglier­e economico del ministro all’Economia Pier Carlo Padoan. Sino allo scorso mese di marzo, Ceriani è rimasto al suo posto per affinare, in accordo con i sindacati dei frontalier­i, alcuni aspetti dell’accordo di competenza italiana. Con l’avvento del governo

giallo-verde Ceriani è stato sollevato dall’incarico. In questi ultimi anni il tema del nuovo sistema fiscale dei frontalier­i è stato spesso al centro dell’attenzione, oltre che delle polemiche. In più occasioni l’Italia, per non sottoscriv­ere l’accordo, ha posto l’accento su alcune misure decise dal Consiglio di Stato del Canton Ticino, considerat­e diffamator­ie nei confronti dei frontalier­i. Per il parlamento italiano fa ancora testo

l’ordine del giorno votato all’unanimità che impegnava il governo Gentiloni a non firmare l’accordo senza il superament­o delle misure ritenute discrimina­torie. Cosa succede ora? Innanzitut­to a Roma nessuno è in grado di fare previsioni su quando il tema sarà ripreso in mano. Una risposta al quesito di poc’anzi è estremamen­te facile: rimane tutto come è allo stato attuale. I frontalier­i continuera­nno a pagare le tasse in Svizzera e di questo, inutile nasconderl­o, sono tutti contenti. I cantoni svizzeri continuera­nno a riversare i ristorni in Italia, per cui quasi certamente assisterem­o a nuove proposte di bloccarli. Nelle casse svizzere non entreranno 18 milioni di franchi in più (una dozzina in Ticino), come prevedeva l’accordo finito in fumo. La tassa d’imposta dall’attuale 61,2 per cento sarebbe dovuta salire al 70 per cento.

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TI-PRESS Nessuno a Roma è in grado di dire quando il dossier sarà ripreso in mano

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