Fortuna che papà Frang non aveva un Suv!
Si deve tutta a un bagagliaio stretto la fulminante carriera di Vilde Frang, violinista norvegese, che senza timore annoveriamo sul podio delle migliori interpreti mondiali. Era, infatti, il 1996 quando, a dieci anni, debutta come solista, eppure, come ama ricordare nelle interviste, «volevo suonare il contrabbasso come mio padre e mia sorella. Mi fu negato perché non entrava in macchina: o il contrabbasso o le vacanze. Scelsi il violino, all’inizio controvoglia. Ma mi sono ricreduta: mi ha regalato gioie immense». ‘E per fortuna!’ potremmo risponderle noi dopo che domenica sera ha letteralmente rapito l’intera sala del Lac accorsa per ascoltarla nel Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61, di Ludwig van Beethoven, diretto da un altro giovane talento, il maestro Robin Ticciati, padrone a piene mani della Deutsches Symphonie Orchester di Berlino. Frang ha mostrato uno slancio virtuosistico fuori dal comune, le sue dita scorrevano sicure e forti sulla tastiera, chiusi gli occhi sembrava venire da un mondo sovrannaturale, concentratissima e in piena sintonia con il direttore e il resto dei musicisti. Seppur algida nella sua interpretazione di un genio del classicismo, ha trasmesso un’estrema passionalità e un calore musicale non indifferente culminato nell’acclamato bis. Un concerto, dunque, da annoverare nella bacheca dei successi di LuganoMusica continuato poi, nella sua seconda parte, con la Sinfonia n. 2 in mi minore, op. 27, di Sergej Rachmaninov. Protagonisti qui soprattutto i fiati, capaci, fra le varie pagine dell’opera scritta nel 1907 dal compositore russo, di rincorrersi, passandosi la ‘parola’ e avvolgendo, uno su tutti il clarinetto, lo spettatore in un’atmosfera coinvolgente, fra larghi e moderati, adagi e allegri vivaci. La musica della riscossa.