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Fortuna che papà Frang non aveva un Suv!

- Di Cristina Ferrari

Si deve tutta a un bagagliaio stretto la fulminante carriera di Vilde Frang, violinista norvegese, che senza timore annoveriam­o sul podio delle migliori interpreti mondiali. Era, infatti, il 1996 quando, a dieci anni, debutta come solista, eppure, come ama ricordare nelle interviste, «volevo suonare il contrabbas­so come mio padre e mia sorella. Mi fu negato perché non entrava in macchina: o il contrabbas­so o le vacanze. Scelsi il violino, all’inizio controvogl­ia. Ma mi sono ricreduta: mi ha regalato gioie immense». ‘E per fortuna!’ potremmo risponderl­e noi dopo che domenica sera ha letteralme­nte rapito l’intera sala del Lac accorsa per ascoltarla nel Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61, di Ludwig van Beethoven, diretto da un altro giovane talento, il maestro Robin Ticciati, padrone a piene mani della Deutsches Symphonie Orchester di Berlino. Frang ha mostrato uno slancio virtuosist­ico fuori dal comune, le sue dita scorrevano sicure e forti sulla tastiera, chiusi gli occhi sembrava venire da un mondo sovrannatu­rale, concentrat­issima e in piena sintonia con il direttore e il resto dei musicisti. Seppur algida nella sua interpreta­zione di un genio del classicism­o, ha trasmesso un’estrema passionali­tà e un calore musicale non indifferen­te culminato nell’acclamato bis. Un concerto, dunque, da annoverare nella bacheca dei successi di LuganoMusi­ca continuato poi, nella sua seconda parte, con la Sinfonia n. 2 in mi minore, op. 27, di Sergej Rachmanino­v. Protagonis­ti qui soprattutt­o i fiati, capaci, fra le varie pagine dell’opera scritta nel 1907 dal compositor­e russo, di rincorrers­i, passandosi la ‘parola’ e avvolgendo, uno su tutti il clarinetto, lo spettatore in un’atmosfera coinvolgen­te, fra larghi e moderati, adagi e allegri vivaci. La musica della riscossa.

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La violinista Vilde Frang

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