Una Svizzera senza più alibi
Per la prima volta dal 1924 la Nati torna in corsa per un trofeo. Grazie anche alla linea dettata da Petkovic.
Era dal 1924, quando perse la finale dei Giochi olimpici di Parigi (3-0 dall’Uruguay), che la Svizzera aspettava l’occasione di poter iscrivere il suo nome nell’albo d’oro di una manifestazione internazionale. Da quel 9 giugno (ma guarda la coincidenza, è la data della finale di Nations League) di 94 anni fa, il calcio svizzero si è messo in luce soltanto a livello giovanile con il titolo europeo U17 (2002), quello mondiale U17 (2009) e l’argento U21 (2011). Domenica a Lucerna la Nazionale elvetica si è messa nelle condizioni di rompere, finalmente, un incantesimo che pareva eterno. E se il prossimo 9 giugno in Portogallo a sollevare la coppa dovesse essere Granit Xhaka, il vincitore morale sarebbe Vladimir Petkovic. Perché è fuor di dubbio che la qualificazione alle Final Four di Nations League è in primo luogo un successo personale del selezionatore. Il quale ha avuto il coraggio di cambiare (e parecchio), in un momento difficile (ennesima eliminazione agli ottavi di finale e polemiche assortite su aquile e passaporti) che avrebbe suggerito, per la stabilità del cadreghino, di affidarsi ancora all’usato sicuro. Ha “scaricato” leader indiscussi, ma in là con gli anni (Behrami, Djourou, Dzemaili, in parte Lichtsteiner...), per sostituirli con giovani in grado di contribuire per molti anni a venire (Mbabu e Fernandes su tutti). Vlado ha tenuto duro, nonostante le critiche virulente di chi lo avrebbe visto volentieri defenestrato per lesa maestà, ha consegnato le chiavi della squadra a Xhaka, ha trovato la posizione ideale per uno Shaqiri a sua volta galvanizzato dal ruolo importante rivestito a Liverpool dopo stagioni di parziale anonimato allo Stoke City e ha insistito con ragione sulle capacità realizzative di Seferovic. E alla fine ha vinto. Certo, il successo contro il Belgio non cancella l’amarezza per l’eliminazione in Russia, ma adesso questa squadra non ha più l’alibi di non saper gestire gli appuntamenti che davvero contano, di essere spavalda di fronte alle piccole e timorosa al cospetto delle grandi. Perché è vero che il Belgio non era al completo, ma le assen-
ze rossocrociate erano di gran lunga più pesanti, alla luce di un bacino di talenti assai più pescoso a Bruxelles che a Berna. La prestazione di Lucerna ha dimostrato due cose: che Platini ha fatto bene a inventarsi la Nations League per cancellare la maggioranza delle amichevoli come quella di mercoledì a Lugano contro il Qatar, e che questa squadra sembra finalmente pronta, risultati alla mano, per entrare davvero a far parte delle grandi. Il bilancio della gestione Petkovic, d’altra parte, parla chiaro: 29 vittorie, 8 pareggi e 12 sconfitte. La Svizzera, dunque, ha un futuro. Senza peraltro montarsi la testa,
perché Seferovic non segnerà tre gol a partita, Shaqiri potrebbe tornare di tanto in tanto ad essere quel giocatore incostante e spesso criticato conosciuto in passato e una rosa più ampia ma comunque inferiore di numero rispetto a quella di tante altre nazioni non può prescindere da undici titolari capaci di trovare continuità nei rispettivi club (per tanto tempo il cruccio di tutti i ct rossocrociati). Rifilando cinque reti alla miglior squadra al mondo (ranking Fifa dixit) la Svizzera ha compiuto un impresa, ma la consacrazione dovrà passare da una vittoria in Portogallo, poco importa il blasone degli avversari.