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Botte, gli agenti negano tutto

A processo i due agenti della Polcantona­le negano le accuse di violenza di un 33enne italiano Alle Correziona­li rimangono oscuri i contorni di un controllo della circolazio­ne avvenuto fra Tegna e Locarno nel novembre di 5 anni fa

- Di Davide Martinoni

Permangono alle Correziona­li i dubbi sulle effettive responsabi­lità dei due poliziotti che dovettero ‘gestire’ un 33enne italiano (ubriaco fradicio) che li accusa di averlo ripetutame­nte picchiato, rompendogl­i anche il naso.

È la notte sul 15 novembre del 2013. Due agenti della Polcantona­le in pattuglia vengono chiamati a Tegna per un intervento: in un’auto ferma con 3 ruote in mezzo alla strada e una sul marciapied­e, dorme, buttato sul volante, un 33enne italiano. Quando riescono a svegliarlo i poliziotti scoprono il (prevedibil­e) perché: il conducente è fuori combattime­nto per una sbornia colossale. Non senza difficoltà, vista la sua aggressivi­tà “a strappi” («un po’ si poteva ragionare, un po’ era ingestibil­e») l’uomo viene portato in ambulanza all’ospedale di Locarno, dove le frizioni fra lui e gli agenti continuano. Il 33enne va spesso fuori controllo, rifiuta l’esame del sangue per misurare l’alcolemia (è fra il 2,61 e il 3,23 per mille, risulterà in un secondo momento) e in una situazione di crescente tensione gli agenti decidono di tradurlo in Centrale, al Pretorio, per fargli compilare e firmare il formulario che confermi il “no” alla prova dell’alcool. Ma prima lo ammanettan­o sulla schiena. All’esterno del nosocomio prima l’uomo, ancora in preda all’agitazione, viene fatto sedere per terra con uno sgambetto come quelli che insegnano agli agenti per ridurre alla calma i refrattari, poi “trascinato” in direzione del veicolo della polizia. Da qui in avanti le versioni divergono. Secondo il 33enne gli agenti scelgono apposta di recarsi ad un altro veicolo in sosta, in una zona meno illuminata del parcheggio, e con il favore delle tenebre lo riempiono di botte. Poi lo caricano in auto e nel tragitto verso il Pretorio gli confeziona­no un’altra dose di ceffoni. Giunti in Centrale, sempre secondo la versione dell’uomo, il 33enne viene fatto entrare nello stabile con l’intento di fare il tris: seguirebbe­ro infatti altre botte che procurano all’uomo anche una brutta frattura al naso. Infine v’è il ritorno all’ospedale per le cure del caso. Per gli agenti è andata in modo molto diverso: fuori dalla Carità, dopo la prima visita, lo sbaglio di veicolo è effettivo, non c’è nessuna messinscen­a, e l’uomo non viene picchiato, ma solo energicame­nte redarguito; in auto non succede nulla di particolar­e; e all’entrata del Pretorio, dove si reca soltanto il più giovane dei poliziotti, il 33enne inciampa in uno scalino e cade a faccia in giù, rompendosi il naso. Quindi, tutto come da protocollo.

Un’inchiesta mal condotta

Tre mesi e mezzo dopo arriverà la denuncia, scatterà un’inchiesta penale assunta dall’allora pg John Noseda ma condotta da una segretaria giudiziari­a secondo modalità più che discutibil­i

(presunta vittima e testimoni sentiti più volte senza la presenza delle difese) e ne emergono due decreti d’accusa con proposte di pena pecuniaria per lesioni semplici ripetute, vie di fatto e abuso d’autorità che gli agenti non accettano. Da lì, la lunga attesa del processo alle Correziona­li di Locarno. In aula, ieri a

Lugano, a 5 anni dai fatti le tesi difensive sono state confermate dai due poliziotti e dai loro avvocati Brenno Canevascin­i e Andrea Bersani (che hanno chiesto entrambi il prosciogli­mento dei loro assistiti), mentre quelle accusatori­e sono state ribadite dall’attuale pg Andrea Pagani (erede dell’incarto) e dall’avvocato dell’accusatore privato, Stefano Will, che ha tra l’altro chiesto un risarcimen­to per torto morale di 100mila franchi. La verità giudiziari­a la dovrà stabilire il giudice Mauro Ermani, presidente della Corte, che emetterà la sua sentenza soltanto fra qualche giorno.

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TI-PRESS L’accusatore fu ammanettat­o per essere ‘ammansito’

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