Non siamo un’isola
L’economia ticinese è legata a quella internazionale, vicina e lontana L’interscambio commerciale da e verso l’estero è dinamico ed è il primo fattore che rende visibile l’interazione tra diversi sistemi produttivi
Il Ticino, per fortuna, non è un’isola. A molti piacerebbe considerare – in modo quasi autarchico – questo cantone sganciato dalle dinamiche economiche del resto della Svizzera e soprattutto del resto del mondo. Non è così e l’interazione di imprese e cittadini con altri sistemi economici, attraverso l’interscambio commerciale, contribuisce anche alla domanda (leggasi reddito, ndr) interna. Le decisioni di introdurre o no dei dazi prese a Washington – per esempio – hanno anche degli impatti sulle decisioni di produzione e consumo da questa parte dell’Atlantico, Svizzera compresa. È quanto emerso – in estrema sintesi – durante l’edizione autunnale di ‘Confronti’ organizzato dall’Ire (Istituto di ricerche economiche dell’Usi) con il sostegno del Dipartimento delle finanze e dell’economia e di BancaStato. Durante il convegno si è parlato della situazione congiunturale internazionale destinata a rallentare anche con l’acuirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Ma è l’Europa (Brexit), e ancora di più l’Italia per rimanere più vicini a noi, a preoccupare le sorti dell’economia svizzera e di quella tici-
nese. Il livello dello scontro tra Commissione europea e governo italiano sulla futura legge di bilancio – ha ricordato Luca Mezzomo, responsabile dell’analisi macroeconomica del centro studi Intesa San Paolo – è destinato a salire con la decisione (attesa per oggi) dell’apertura di una procedura di infrazione alle regole di bilancio dell’eurozona. Secondo Mezzomo è proprio questo l’obiettivo del governo italiano ‘gialloverde’: usare la bocciatura da parte della Commissione Ue a fini puramente elettorali. A perdere, in questo caso, sarebbe l’economia italiana confrontata con un rallentamento più forte di quanto sta avvenendo nel resto dell’Unione europea. E gli effetti dell’instabilità nella zona euro si sentiranno anche in Svizzera, come ha già dimostrato la crisi del 2011 che portò la Banca nazionale svizzera a stabilire un tasso di cambio minimo tra franco ed euro. In quell’occasione – come ha ricordato Fabio Bossi, delegato della Bns per la Svizzera italiana – fu proprio la leva del tasso di cambio a trasferire gli effetti negativi sull’economia svizzera con una mini recessione dalla quale si uscì piuttosto rapidamente. Non tutti i settori sono però usciti vincenti da quella crisi. Il settore finanziario, il turismo e il commercio, per esempio, portano ancora i segni di quella botta, come ha affermato Lorenza Sommaruga, presidente della Federcommercio ticinese. «Il commercio al dettaglio sta solo ora conoscendo una stabilizzazione del calo dei fatturati. Un calo frutto di più cause tra cui l’avvento dell’online, il tasso di cambio che favorisce gli acquisti Oltreconfine e la crisi del turismo», ha precisato Sommaruga. Diverso il discorso dell’industria che ha saputo ridurre la struttura dei costi, come testimoniato da Luca Bolzani, presidente del Cda di Sintetica Sa. Una lettura più analitica dell’economia transfrontaliera l’ha portata Federica Maggi, ricercatrice Ire e autrice, con il professor Rico Maggi (è solo omonimia e non parentela, ndr), del libro ‘Il Ticino: un’economia locale e globale. Analisi dello spazio di produzione e degli scambi commerciali’.