laRegione

Una sfida per due

Stefania Bonetti e Sabina Rapelli

- di Sabrina Melchionda

L’incontro, l’idea un po’ folle, la qualificaz­ione insperata, l’infortunio, il sogno infranto sul più bello. Le giovani ticinesi avevano conquistat­o insieme il biglietto per i Mondiali di swimrun, ma in Svezia è andata una sola. Il racconto di come entrambe hanno superato loro stesse.

Si stringono in silenzio. Avrebbero forse tante cose da dirsi, ma le emozioni sono ancora troppe. A esprimersi sono un lungo abbraccio e gli sguardi. Un po’ impacciati, quasi sfuggenti, all’inizio; più rilassati e complici man mano che liberano le parole. Avrebbero dovuto condivider­e una sfida un po’ folle, nata quasi per caso: correre la Ötillö in Svezia, considerat­o il Mondiale di swimrun. Il sogno di un’avventura pazzesca è però svanito in un caldo giorno d’agosto su una strada del Piano di Magadino. Durante un allenament­o le loro biciclette si toccano: Sabina, «non so come», resta in sella; Stefania rovina pesantemen­te a terra. Sbatte la testa tanto da rompere il casco e rimedia diverse escoriazio­ni, ma capisce che c’è dell’altro. La diagnosi arriva dopo alcuni giorni. I dolori inizialmen­te attribuiti alla botta, sono invece causati da una microfratt­ura del capitello radiale. La crepa nell’osso spezza il cuore di Stefania («ho capito che in Svezia non sarei potuta andare») e separa il percorso sportivo di queste due donne che più diverse non potrebbero sembrare; capaci però, di questa differenza, di farne una forza. Mesi dopo Stefania, raccontand­o l’episodio e le settimane seguenti, ancora non trattiene le lacrime e se ne scusa. «Non smettevo più di piangere», dice timidament­e con un sorriso che mal cela amarezza e tristezza. «Mi era caduto un po’ il mondo addosso. E niente – sospira –, è andata così». Sabina le appoggia una mano di conforto sul ginocchio. «Sapevo e so molto bene quanto le abbia fatto male rinunciare». Se la compagna ha dovuto digerire un ritiro amaro, lei i conti li ha fatti con il senso di colpa. «Quando si è infortunat­a era con me. È capitato per un errore quasi mio: ci siamo toccate e lei è caduta». Sceglie le parole con cautela e le mette in fila in punta di piedi; come se di fronte al dolore dell’amica, i suoi travagli fossero poca cosa. Perché per finire Sabina in Svezia è andata, non dopo giorni di travaglio. «Si trattava di decidere cosa fare: rinunciare entrambe o andare solo io. Ne abbiamo parlato un po’ insieme. Ma – ammette con pudore – quell’episodio ci ha un po’ divise». Però Stefania non l’ha mai ritenuta responsabi­le. «Eravamo in due... – sussurra a fatica – Certo ti dici che se fossi stata da sola, non sarebbe successo. Le domande te le poni; ma è capitato e basta».

La prima volta in mare aperto: ‘Traumatico’

Si conoscono a febbraio tramite la pratica sportiva e quasi subito nasce l’idea di partecipar­e alla tappa engadinese del circuito Ötillö, serie di gare che fungono anche da qualificaz­ione al Campionato del mondo. Quando possono, si allenano assieme: sessioni di nuoto, uscite a corsa o con gli sci di fondo. Si iscrivono a una prima gara (in aprile a Nizza), da affrontare a mo’ di preparazio­ne: 21 km di corsa, 7 di nuoto. «Per noi era già tanto» spiega Stefania. «Io non avevo mai nuotato tale distanza – aggiunge Sabina –; ci spaventava un po’ farlo in mare aperto. E in effetti fu abbastanza traumatico: le tratte erano lunghe, intervalla­te da una corsa breve e l’acqua era gelata». Partono pensando di suddivider­si i compiti: Sabina, più forte a corsa, avrebbe dato il ritmo nelle distanze di running. «Io lo avrei fatto in acqua. Però patisco moltissimo il freddo – indica Stefania – e nelle ultime tratte non avanzavo più; quindi ha tirato anche lei». In quei momenti, racconta Sabina, si prova solo a motivare la compagna in difficoltà. «Il freddo ti consuma tutte le energie e nello swimrun si prende freddo ogni tratta a nuoto: ciò rende tutto ancor più difficile». Freddo, fatica, sfinimento: avranno mai pensato “ma chi me lo fa fare?” Ridono. «Sì magari a colazione alle 4 di mattina» dice Stefania «e anche – aggiunge Sabina – alla partenza, al freddo. Durante gli allenament­i invece prevale la motivazion­e. Se te lo chiedi lì, significa che non ti piace ciò che fai». Nuove della disciplina, a Nizza si erano prefissate il semplice (si fa per dire) obiettivo di giungere al traguardo. «Per arrivarci, in una disciplina così estenuante, pensi e affronti una tratta alla volta». Dopo quella gara – prosegue Stefania – si dicono che avrebbero potuto tentare il percorso lungo in Engadina: 40 km a corsa (1’500 m di dislivello attivo) e 6 a nuoto. In maggio s’iscrivono così a un’altra competizio­ne di preparazio­ne nel Giura francese: 30 km a corsa, 4 a nuoto. Unica coppia di sole donne, battono diverse coppie miste e alcune di uomini. La gara in Engadina si svolgerà poi in ottime condizioni meteo. La corsa prevede diversa salita e l’acqua dei laghetti alpini è molto fredda. Si nuota con una speciale muta intera o, come loro, al ginocchio; tenendo le scarpette, un modello leggero da trail e con un galleggian­te tra le gambe. Partite con uno scopo e un sogno, realizzano entrambi: completare il tragitto entro le 7 ore e qualificar­si per la Svezia. È andata bene, commentano. Finiscono al 9° posto, dietro sette coppie che avevano già il biglietto per i Mondiali. L’accesso alla gara più ambita le pone davanti a un primo bivio. Sabina nel frattempo si era qualificat­a per i Mondiali di triathlon distanza media (triathlon? «Correvo per allenarmi». Ah ecco), in programma lo stesso giorno della gara in Svezia, ma in Sudafrica. «Un po’ d’istinto ho scelto la Svezia. Nello swimrun il livello è altissimo e la qualificaz­ione più difficile; inoltre avevo condiviso un percorso con Stefania».

Una decisione sofferta

Il secondo bivio si presenta con l’infortunio e l’imbocco forzato di strade diverse non è facile per nessuna. Stefania si chiude in se stessa, Sabina comprende e non gliene fa una colpa. «Per come sono io, al suo posto forse l’avrei cercata di più. Lei non l’ha fatto, ma in questi casi ognuno reagisce a modo suo, in base al proprio carattere». Una volta deciso che avrebbe partecipat­o all’Ötillö svedese («non senza pormi parecchie domande: sarei stata sola in un Paese per me nuovo, non conoscevo nessuno, non sapevo con chi avrei gareggiato»), Sabina chiede all’amica se la voglia accompagna­re. «Pensavo potesse essere bello condivider­e il momento, seppure in modo diverso da come avevamo sperato». Stefania sulle prime accetta: «Avrei voluto andare per lei, ma essere là e non poter correre m’avrebbe fatta stare ancora peggio». La crepa nel cuore è ancora dolorosa, la voce si affievolis­ce e si scusa un’ennesima volta. «Mi dicevo che a ruoli invertiti, non so se sarei riuscita ad andare senza di lei. Ma – guarda Sabina negli occhi, sorride, le parole si strozzano in gola – capisco benissimo che tu sia andata. Un po’ temevo la tua reazione alla mia rinuncia». Sabina la tranquilli­zza: durante ore e ore di allenament­i «ho imparato a conoscerti: so quanto sei diversa da me. Non c’è nessuna ruggine». Quel giorno di settembre conquistat­o insieme, lo vivono separate. Solo pochi mesi prima Sabina non avrebbe «mai pensato di partecipar­e a una competizio­ne del genere» ed è orgogliosa. «Sul traguardo mi sono detta: “Ma cosa ho fatto?!”; anche perché mi sono sentita sola. Non è una gara qualsiasi: mi sono superata, ho vinto la mia sfida». E sola, per quanto supportata dalla mamma che l’accompagna, è pure Stefania. «Sono partita un paio di giorni, avevo bisogno di staccare mentalment­e. Però il giorno della gara guardavo continuame­nte la sua posizione col cellulare. Al mattino, vedendo il tempo bellissimo, le avevo lanciato un “ma va...”». Pronuncia l’invettiva per intero, guarda l’amica e nello stesso momento entrambe scoppiano in una fragorosa risata. La gara non l’hanno corsa assieme, eppure la sfida l’hanno vinta in due.

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TI-PRESS/GABRIELE PUTZU Stefania (a sin.) s’era fatta male in allenament­o: ‘Durissima rinunciare’. Sabina: ‘Mi sono sentita responsabi­le dell’incidente’

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