Mi faccio un selfie
Castellinaria / Incontro con Patrick Botticchio e con due visioni opposte su un fenomeno odierno
Due progetti collaterali nel programma del Festival ci interrogano sul senso e le modalità del nostro raccontarci agli altri, fra pose stereotipate e autentici racconti di vita...
Se c’è un fenomeno che illustra al meglio un certo narcisismo della nostra epoca – vacuo e immotivato, tendenzialmente omologante al ribasso – quello è il “selfie”. C’è chi al cospetto delle Piramidi o di fronte a un orizzonte sconfinato non trova di meglio che fotografare sé stesso, c’è chi costella la propria quotidianità di auto-scatti, davanti al guardaroba o sulla tazza del water, c’è chi scatta prima durante o dopo l’intimità, chi si arrampica su una scogliera o su un balcone al tredicesimo piano (e a volte, in nome del selfie perfetto, cade di sotto). Ma chi c’è davvero dietro a quell’immagine, in genere stereotipata nella posa e nel sorriso? Lo stesso autore-soggetto, insensibile a ciò che lo circonda, riesce a scorgerlo?
Un giovane non deve essere spaventato di scegliere questa professione. Come ogni lavoro, se sei capace, e ci metti anima e cuore, le cose si muovono.
Sembra chiederselo Claudius Gentinetta, che a Castellinaria ha presentato il suo fulminante cortometraggio d’animazione, ‘Selfies’, già passato a Locarno. In 4 minuti il regista lucernese condensa il suo sguardo, ironico e corrosivo, su una variopinta umanità in balia del proprio giulivo egocentrismo, fino all’ultima occasione buona per un selfie... Ad offrire un altro sguardo sul concetto di “selfie” ci pensa invece un progetto ticinese curato da Patrick Botticchio con Alberto Bernad per la loro società, Primitive Films a Taverne. In una serie di dieci corti di 3 minuti ciascuno, realizzati in collaborazione con Rsi e Cantone (Servizio multimediale Cerdd e Servizio per l’integrazione degli stranieri), Botticchio porta sullo schermo altrettante storie di integrazione: dieci volti, dieci porzioni di vita che gettano un ponte fra questa regione e il mondo. Tre di questi “selfie” verranno presentati oggi e nei prossimi giorni a Castellinaria. Ci sono il sarto, Gabriele, dalla Mesopotamia; la tessitrice, Arlena, adottata in Romania, che ritrova le proprie radici; l’ex acrobata russa, Lidia, oggi insegnante nella sua scuola di circo; il musicista, Goran, sfuggito alla guerra in Serbia, «con cervello cosmopolita e cuore zingaro»; il carrozziere, Mohammad Jawid, che ha viaggiato dall’Afghanistan a Chiasso con la morte negli occhi; c’è anche Felix “Karoubian”, partito da Parigi e passato da un kibbutz in Israele, per il quale il «tappeto è una storia che ti sussurra qualcuno che non conosci». Patrick Botticchio è un tipo intraprendente che ha festeggiato il suo ultimo compleanno nel 2012... Prima si è formato come fotografo, è andato a Barcellona a studiare regia e ha lavorato per la Rsi, poi si è messo in proprio con il suo amico Alberto. Così è sorta la Primitive Films, da cui anche la Primitive Music, sfogo di un’altra passione in forma di etichetta discografica che stampa solo vinili in 45 giri, 300 copie curate con molta attenzione: chiamiamola «musica in piccole porzioni», dice Patrick. I suoi “selfie” non si fermano in superficie, ma rivelano un frammento autentico di umanità: «Sentivo l’esigenza di avvicinare gli stranieri. Prima la Rsi aveva una trasmissione,‘Il Ponte’, ho immaginato che anche loro avessero bisogno di un lavoro in questa direzione». Nel titolo c’è un intento provocatorio? Questo è un altro tipo di selfie... «Chiaro, siamo abituati a farci i selfie e postare subito. Queste invece sono microstorie veloci ma molto intime, magari dopo 40 minuti di intervista: sono le persone stesse che si raccontano, si smascherano». Il ruolo del lavoro? «Il punto di partenza doveva essere quello, l’integrazione attraverso un lavoro peculiare. Era questo il pretesto per raccontare delle storie che fossero diverse fra loro. Adesso ho una lista di circa 30-40 personaggi, per cui si potrebbe andare avanti». Come si vive in Ticino come registi-produttori indipendenti? «La scelta di essere indipendenti è dovuta al desiderio di non sedersi su qualcosa di sicuro, per
avere sempre la mente lucida e aperta. A spingerci, più che il bisogno di libertà, è questa voglia di nuove sfide, di ricercare. E devo dire che non è neanche tanto difficile. Siamo talmente innamorati del nostro lavoro che lo facciamo anche 20 ore al giorno, di conseguenza tutto ciò che diamo lo riceviamo in cambio. Non penso che un giovane debba essere spaventato all’idea di scegliere questa professione. Come ogni lavoro, se sei capace di farlo, e ci metti anima e cuore, le cose si muovono. È però importante guardare al di là dei nostri confini: la nostra isoletta ticinese è importantissima, però il mondo va oltre e per ricevere nuovi stimoli occorre osservarlo».