laRegione

Marc Augé, ottimista malgrado tutto

- Di Ivo Silvestro

«È un tema vasto» ha celiato Marc Augé quando, dopo i discorsi introdutti­vi, ha preso la parola ieri sera in un affollato Studio 2 della Rsi. Il titolo del suo incontro, organizzat­o dall’associazio­ne Fare arte nel nostro tempo in collaboraz­ione con la Rsi, era in effetti di quelli da togliere il respiro: “Tra metamorfos­i delle culture e identità, quali mezzi concepire per costruire il nostro futuro?”. L’83enne antropolog­o ed etnologo francese è inizialmen­te parso stanco, quasi provato, iniziando a leggere con voce piatta un testo, con tanto di pantomima nel cercare, con solo due mani, di tenere il microfono e girare pagina. Ma, una volta abituati al suo francese ruvido, ecco arrivare i concetti, condensati in un intervento che pareva il concentrat­o di una decina di saggi, temi poi approfondi­ti con le domande dell’ottimo Roberto Antonini. Com’è, quindi, il futuro che vede Marc Augé? In breve: senza idee, o meglio senza ideali. Perché le grandi narrazioni con cui l’umanità immaginava il futuro sono cessate. Non abbiamo più una mitologia dell’avvenire e senza di essa è difficile parlare di progresso. È la fine della storia, ma rispetto alla tesi enunciata da Francis Fukuyama negli anni Novanta, qui non abbiamo nessun trionfalis­mo della società liberale, bensì una certa disillusio­ne. Anche l’utopia della “educazione per tutti”, che Augé ha sostenuto e difeso in varie occasioni, per quanto riaffermat­a come urgenza di fronte alle storture della globalizza­zione – siamo onesti, ha detto a un certo punto, sono forse uguali le possibilit­à di crescita della figlia di un contadino dell’Uganda e quelle della figlia di un professore di Harvard? –, ci è parso, nelle parole di Augé, aver perso quella carica idealistic­a che dovrebbe animare ogni utopia che non vuole restare un sogno. Sui perché di questa mancanza di ideali, Augé ha affastella­to alcune suggestion­i, dalla tecnoscien­za alla crisi dell’identità individual­e e collettiva, ma alla base vi è la natura umana. Occorre partire dalla triplice dimensione dell’essere umano: individual­e, culturale e generica. Ognuno di noi è un singolo che appartiene a una determinat­a comunità e cultura ma, al contempo, deve sentirsi parte della “umanità generica” e soprattutt­o deve riconoscer­la negli altri. Se una di queste dimensioni viene meno – se viene meno la libertà individual­e, se non si rispettano le culture e se viene meno quella appartenen­za che va al di là delle singole culture –, si possono avere reazioni anche violente. Una mancanza di ideali che non significa la fine di ogni idea di progresso, come emerso nel dialogo con Antonini. «Malgrado tutto c’è un’evoluzione positiva: quando penso alla mia infanzia negli anni Quaranta mi rendo conto che l’Europa è migliorata», ha ammesso Augé.

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