L’Angela della Storia
L’annuncio, con largo anticipo, del ritiro di Angela Merkel segna la chiusura di un ciclo per la politica tedesca, ma anche per quella dell’Unione europea, nel momento della sua più grave crisi esistenziale. La cancelliera ha segnato un ventennio della st
Non tutti capiscono i tempi di Angela Merkel, ma quasi mai la cancelliera tedesca li sbaglia. Se la prese comoda quando cadde il Muro; ha annunciato il proprio ritiro dalla politica prima di cadere lei stessa. Non si unì allora ai berlinesi che si affollavano per testimoniare un cambio d’epoca; e anche questa volta ha preferito non esserci quando qualcuno saluterà il suo congedo con analoga enfasi. “Non sono nata cancelliera”, ha detto, il 29 ottobre scorso, data dell’annuncio, né intende morire in carica. Non che tale eventualità fosse contemplata (se non per morte intervenuta): oltre il quarto mandato non andarono neanche Konrad Adenauer né Helmut Kohl. E in ogni caso anche per lei sarà una bella impresa arrivare in carica al 2021, la conclusione “naturale” del mandato: di mezzo ci sono le elezioni europee ormai universalmente intese come un’ordalia per una classe dirigente continentale additata come causa di tutti i mali dell’Unione, e che proprio in Merkel ha la figura più rappresentativa. Anche per questo il solo annuncio del prossimo ritiro sembra mettere a nudo la fragilità di una costruzione che si reputava ormai consolidata, “definitiva”. La fine di un ciclo. È ben vero, e anche questo conferma una sua accortezza tattica, che l’anticipo con cui ha annunciato il ritiro potrebbe dare a Merkel la possibilità di guidare la propria successione. Dapprima, tra meno di un mese, alla guida della Cdu, per la quale scalpita soprattutto Friedrich Merz (che ha un conto in sospeso con la cancelliera); e poi alla cancelleria, come per dare al prossimo presidente del partito la possibilità di prepararsi adeguatamente alle elezioni. C’è poi anche un’altra ragione, come rileva Giovanni di Lorenzo nell’intervista che pubblichiamo in questa pagina, e cioè il desiderio di tutelare la propria immagine, lasciando il campo prima di venirne espulsa. Immagine che solo un giudizio ingeneroso e soprattutto superficiale potrebbe considerare al pari di un masso piantato in un campo, senza espressione, senza slancio. Angela Merkel è pur stata la
Un’aureola discussa
cancelliera che nel 2011 ha deciso di abbandonare il nucleare; che nel 2014 si oppose a chi voleva cacciare la Grecia dall’euro; e nel 2015 affrontò (e finì per scontare) un’opinione pubblica ostile, aprendo le frontiere ai profughi siriani. Non un’ingenua idealista, però: l’uscita del nucleare seguiva la catastrofe di Fukushima; il salvataggio della Grecia si compì imponendo condizioni terribili ad Atene (ma lo stesso Alexis Tsipras disse: “ora che l’ho incontrata ho capito perché è un leader politico da così tanto tempo”); mentre non si fece scrupoli a venire a patti con l’intrattabile Erdogan perché fermasse in Turchia il flusso di migranti verso l’Europa (alla quale impose una onerosa partecipazione finanziaria). Per niente ingenua, dunque, semmai autentica corsara della politica, capace di sottrarre agli avversari i loro stessi argomenti. Anche giovandosi, sì, di quella allure così poco sexy, su cui interlocutori particolarmente grezzi hanno fatto dello spirito, finendo comunque per adeguarsi all’agenda che lei stessa dettava. Helmut Kohl, padrino e poi vittima sacrificale della sua ascesa, lo aveva ben capito, quando la volle accanto a sé e poi come erede politica. Quella ragazza dell’est – figlia di un pastore protestante: un classico da romanzo tedesco – avrebbe fatto strada. Fino a decidere lei stessa quando sarebbe stata l’ora di cambiarla. Nel momento peggiore per l’Europa, si potrebbe recriminare, ma forse non poteva andare che così, visti i tempi. Se l’Angelo di Wittgestein, volgendosi non vedeva che le macerie della Storia, l’Angela Dorothea Merkel (nata Kasner) dei nostri giorni guarda dietro di sé e non vede che mediocrità e rancore. Neppure la Tragedia ci appartiene.