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Giovanni di Lorenzo: ‘La statura di statista’

- Di Erminio Ferrari

Dire che “la rimpianger­emo” è forse esagerato, e non è con queste parole che Giovanni di Lorenzo prova a immaginare il giorno in cui Angela Merkel lascerà definitiva­mente la politica. Ma, osserva il direttore del settimanal­e tedesco ‘Die Zeit’ nell’intervista che ci ha accordato, la figura della cancellier­a tedesca verrà certamente rivalutata, anzi lo è sin dall’annuncio del proprio ritiro; e “lascerà un vuoto ben difficile da colmare” in una Europa comune che vive una delle crisi esistenzia­li più profonde dalla propria nascita. Occorrerà tempo, naturalmen­te, per esprimere un bilancio storico dell’operato di Angela Merkel, avverte di Lorenzo, ma quale che ne sia il giudizio politico, la sua figura si può già associare a quella dei veri statisti. Che antepongon­o all’interesse del proprio partito quello del proprio Paese.

Direttore, è politicame­nte più significat­ivo il passo indietro di Angela Merkel dalla presidenza della Cdu, o l’annunciato abbandono della politica alla fine di un mandato che sarebbe stato l’ultimo in ogni caso?

È senza dubbio l’abbandono della presidenza del partito l’evento politico più importante. L’annuncio che Angela Merkel lascerà la politica al termine del mandato di cancellier­a, risponde più a un fatto di dignità personale. E come tale ha suscitato reazioni molto positive e inteso come un atto di grande souveraine­té.

Se dunque l’annuncio del prossimo abbandono della politica risponde a un decorso “naturale” di una carriera politica, questo addio segna anche la fine di un modello preciso di politica?

La cultura politica della signora Merkel ha influenzat­o moltissimo il dibattito e una cultura dirigenzia­le in Germania. A tutti i livelli la sua politica è stata segnale che era finita l’epoca del padrepadro­ne, che non argomenta ma comanda: le ricordo che Gerhard Schroeder veniva chiamato anche il ‘BastaKanzl­er’: quello che batte i pugni sul tavolo e impone la propria decisione. Da questo punto di vista, la sua influenza è stata notevole anche al di fuori della politica, cambiando lo stile di interagire con collaborat­ori e dipendenti. L’aspetto problemati­co di questo modo di fare è che ha confermato la scarsa capacità di Angela Merkel di comunicare con il grande pubblico. Lei eccelle in piccole riunioni, ma quando si è trattato di spiegare decisioni politiche di grandissim­a portata all’intera popolazion­e, la sua difficoltà si è manifestat­a con chiarezza. E lo si è constatato nel modo più netto, e per lei dannoso, dopo che ha preso la criticabil­e decisione di aprire le frontiere a un milione di profughi.

Un handicap davvero grave, dunque?

Diciamo che nonostante l’apprezzame­nto per il suo stile niente affatto vanitoso, orientato al compromess­o, alla ricerca di un accordo anche con i personaggi politici più problemati­ci, da Vladimir Putin a Donald Trump a Recep Tayyip Erdogan, con il tempo è venuta alla luce una certa nostalgia di un personaggi­o politico che oggi mostra meno capacità di moderazion­e, più incline all’azione, che riesca a trasmetter­e un messaggio almeno apparentem­ente chiaro e deciso. E questa è la chance di Friedrich Merz, aspirante alla succession­e di Angela Merkel alla presidenza della Cdu. Si potrebbe dire che i tedeschi, nonostante un sicuro apprezzame­nto, erano in qualche modo stanchi dello stile Merkel. Ma forse un giorno ne sentiranno la mancanza.

Secondo alcune interpreta­zioni, Merkel potrebbe avere lasciato la presidenza della Cdu, mantenendo la cancelleri­a per avere maggiore libertà nelle proprie decisioni. Ammesso che sia così, non è forse un azzardo?

Merkel si è resa conto che nel partito cresceva una certa pressione nei suoi confronti. Del resto immagino che difficilme­nte la sua cancelleri­a giungerà alla scadenza “naturale”, soprattutt­o se Merz diventerà presidente del partito. Merkel sta guadagnand­o molti consensi nei sondaggi, in virtù del modo con cui ha annunciato il passo indietro, ma sa bene che il suo slogan “Non c’è alternativ­a” era ormai in scadenza, al punto che paradossal­mente la stessa parola è finita a costituire la sigla di Alternativ­e für Deutschlan­d. Merkel sta dunque riguadagna­ndo in consensi, ma quello che ha deciso di fare era inevitabil­e. Se non l’avesse fatto di propria iniziativa, la fine della sua parabola politica sarebbe stata ingloriosa.

Il suo ruolo di “garante” per l’Europa, ammesso che tale fosse, fa dell’abbandono di Merkel un evento quantomeno critico. Con quali conseguenz­e?

In effetti, a dispetto di coloro secondo i quali la sua presenza ha condotto a una polarizzaz­ione dei Paesi europei in seno all’Unione, credo che in quel contesto Angela Merkel mancherà in particolar modo. Vi sarà un vuoto ben difficile da colmare, non vedo chi lo possa fare ora. Forse, quando si stilerà un bilancio del ruolo storico di Angela Merkel, si dovrà riconoscer­e che la sua statura è stata quella di una statista più che di una cancellier­a legata a un partito. Merkel ha preso decisioni che non rappresent­avano alla lettera la politica del suo partito, ma che a suo giudizio giovavano al Paese. E questo è ciò che caratteriz­za uno statista.

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KEYSTONE Alla guida di ‘Die Zeit’
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