(In)giustizia, retromarcia polacca
Varsavia – Con la maggioranza assoluta del partito al governo – Diritto e giustizia (Pis) – il parlamento polacco ha approvato un emendamento alla legge sulla riforma della Corte suprema del dicembre 2017, mirando così a mettere fine al contenzioso fra Polonia e Unione europea. L’emendamento prevede il ritorno al lavoro di quei giudici della Corte suprema, compresa la presidente Malgorzata Gersdorf, che erano stati sospesi a causa dell’abbassamento dell’età pensionabile da 70 a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne: una misura presentata a suo tempo come necessaria per combattere la “casta” dei giudici, ma che la Corte di giustizia dell’Ue e buona parte dell’opinione pubblica internazionale avevano subito stigmatizzato come un inaccettabile attacco all’indipendenza della magistratura. . “La nostra riforma è buona, necessaria e sarà continuata, ma dobbiamo far sì che la Polonia eviti di pagare le multe che potrebbero essere imposte dalla Ue”, ha spiegato oggi Andrzej Dera, ministro nella Cancelleria del presidente. “L’87% dei polacchi vuole che il Paese resti membro dell’Unione europea, perciò siamo costretti a rispettare anche i provvedimenti del Tribunale di giustizia dell’Ue” ha detto Lukasz Schreiber del Pis, facendo riferimento alla decisione del 19 ottobre della Corte europea. “Avete rovinato il nostro sistema di giustizia e ora ritirate la riforma. Pis ha perso, ma hanno vinto la Polonia e i polacchi” ha invece ribattuto nel corso del vivace dibattito sull’emendamento Ryszard Kropiwnicki, del partito di opposizione Piattaforma civica. ANSA/RED