laRegione

They are the Champions

- Di Christian Solari

Sono gli altri, i campioni. E per altri s’intende una qualsiasi squadra delle otto rimaste in lizza in un torneo da cui anche quest’anno la Svizzera esce di scena proprio sul più bello. E non è certo una sorpresa, se si guarda ai risultati delle prime cinque edizioni di una rinata Champions che raggruppa il meglio del panorama continenta­le con la sola eccezione della Khl, in cui le semifinali raggiunte dal Friborgo nel 2017 e dal Davos l’anno prima sembrano quasi un’anomalia. Un po’ poco per un campionato come il nostro, dipinto fino a soltanto una quindicina di anni fa come la risposta europea alla comunque sempre inarrivabi­le Nhl. Cosa che poteva anche esser vera se si prendevano in consideraz­ione unicamente i soldi, mentre oggi non è più così. Una dimostrazi­one pratica la dà il mercato: prima Stalberg (Zugo), poi Prince (Davos) e Birner (Friborgo) stracciano i rispettivi contratti e volano via. E se i primi due scelgono la Khl è segno che lì non si sta poi tanto male. Anche perché in Russia gli hockeisti hanno il bastone in una mano e la valigia nell’altra, e non hanno poi tutto quel tempo da dedicare agli svaghi. Stipendi a parte, nel confronto con il resto d’Europa la Svizzera non è vincente. Se da noi il livello sale (lo dimostra il numero di rossocroci­ati che si è ritagliato uno spazio in Nhl in questi ultimi anni), in Svezia e Finlandia i picchi di eccellenza sono anche maggiori. Nonostante la Svezia con i suoi 10 milioni di abitanti non sia un Paese molto più grande del nostro, mentre la Finlandia (5,5 milioni) è addirittur­a più piccola. Ciò che conta davvero, però, è il numero dei tesserati: in Svezia sono 63mila (di cui ben 43’318 nei settori giovanili), in Finlandia addirittur­a 73mila, e in Svizzera appena 28mila (di cui 14’519 giovani). Ed è vero che prima di guardare alla Nhl i migliori talenti svizzeri potrebbero sondare un mercato nordeurope­o che costituisc­e senz’altro un’opportunit­à, ma la teoria fa a pugni con la pratica, siccome da noi gli stipendi sono talmente elevati che nessuno sarebbe tanto pazzo da mettersi in discussion­e per un terzo di ciò che guadagna ora. Soldi che, almeno per ora, costituisc­ono un freno al decollo della stessa Champions. Tanto che, a meno di riuscire a vincerla, per i club è essenzialm­ente un costo. Senza contare, poi, il relativo entusiasmo che suscita. Basti pensare al pubblico che l’ha seguita in Ticino, visto che le quattro sfide a Lugano sono state frequentat­e da 3’756 spettatori in media, oppure al seguito che ha avuto a Berna o Zugo, dove i tifosi sono stati sì mediamente 9’780 e 4’140 a serata, in due stadi che – però – in campionato hanno un tasso di occupazion­e superiore al 95%.

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