laRegione

Più mamme al lavoro varrebbero oro

- Di Lorena Gianolli, sindacalis­ta Vpod Ticino

La settimana scorsa al parco con mio figlio ho sentito la storia di un’altra mamma, una libera profession­ista zurighese, diplomata al Politecnic­o di Zurigo che ha poi lavorato per diversi anni presso un noto studio d’architettu­ra. Dopo l’arrivo del primo bambino, con l’accordo dei titolari dello studio, ha ridotto la percentual­e d’impiego al 60% per poter far fronte ai nuovi impegni familiari. All’annuncio della seconda gravidanza, le hanno invece detto che avrebbero preferito rinunciare ai suoi servigi in quanto poi avrebbe avuto due bambini a cui badare e sarebbe quindi probabilme­nte stata meno affidabile. I manager hanno però subito aggiunto che, quando i bambini sarebbero stati più grandi, avrebbero potuto risentirsi e forse lavorare ancora insieme vista l’ottima collaboraz­ione avuta sino a quel momento. Sconvolta, la signora si è allora rivolta al Segretaria­to per le pari opportunit­à di Zurigo, dove le è stato suggerito di resistere alle pressioni, dato che nel suo stato era protetta dal licenziame­nto. Oltretutto, si trattava di un’atto di coazione, che avrebbero potuto denunciare in tribunale. La signora, consideran­do però le difficoltà del processo, gli impegni supplement­ari che avrebbe portato il secondo bebè, il fatto che difficilme­nte il marito avrebbe potuto lavorare a tempo parziale e i costi proibitivi degli asili nido, ha infine deciso di dare le dimissioni. Questa lavoratric­e qualificat­a fa quindi oggi parte di quel 41% di donne ticinesi con figli in età prescolast­ica che non lavora. Donne che malgrado una formazione superiore, la volontà di mantenere un’attività profession­ale e la flessibili­tà che sarebbero disposte a mettere in campo si ritrovano completame­nte dipendenti dallo stipendio del compagno o dalle assicurazi­oni sociali. Donne che probabilme­nte in futuro avranno anche difficoltà a ritrovare un altro impiego. Creare le condizioni per cambiare le cose sarebbe solo un atto dovuto nei confronti dell’altra metà del cielo, senza contare che, mondialmen­te, è stato calcolato che se le donne avessero pari accesso agli uomini al mondo del lavoro e nella società, il Pil globale aumentereb­be del 26%. Un motivo in più, se ce ne fosse ancora bisogno, per chinarsi seriamente sull’argomento.

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