Cercando risposte
Intervista ad Anja Kofmel, regista di ‘Chris the Swiss’, intenso film sul cugino morto in guerra
Chi era Chris, ucciso nel ’92 in Croazia mentre indossava l’uniforme di un gruppo mercenario internazionale? Una storia personale che parla di guerra e violenza, raccontata alternando animazione, interviste e materiale d’archivio.
«La mia maniera di esprimersi è più il disegno che le parole» ci spiega la regista Anja Kofmel. E il suo ‘Chris the Swiss’ – che dopo Cannes e Locarno, è arrivato a Castellinaria nel concorso 16-20, in attesa della distribuzione in sala a metà dicembre – si apre con una notevole sequenza animata, con lei bambina che, in un mare che si fa campo e poi prigione, insegue il cugino Chris, morto nel 1992 durante la guerra in ex Jugoslavia. Alternando oniriche sequenze animate a interviste e materiale d’archivio, il film racconta la ricerca della verità su “Chris lo svizzero” che, al momento della morte, indossava l’uniforme di un gruppo mercenario internazionale: il fascino delle armi e la guerra o un’inchiesta giornalistica sotto copertura?
‘Chris the Swiss’ è un racconto personale: si aspettava i consensi ricevuti, a partire dalla selezione a Cannes?
Quando si fa un film è molto difficile aspettarsi qualcosa… ci vuole anche un po’ di fortuna, con tutti i film, i bei film, che escono ogni momento. Lo scopo di realizzare un film è raccontare una storia che ritengo importante, e certamente il successo fa sì che il film sia visto, che è la cosa davvero importante.
Il film non risponde a tutte le domande su Chris. A livello personale, è soddisfatta di quanto scoperto?
Credo di avere più domande adesso di quante ne avevo quando ho cominciato… non tanto su Chris, ma sulle altre persone. Personalmente ho concluso la ricerca, ho scoperto i nomi di chi ha ucciso Chris, ho trovato qualcuno che mi ha raccontato esattamente che cosa è successo – non è nel film, perché questa persona mi ha chiesto di non utilizzare questo materiale – ma ho queste risposte. Ma non potrò mai sapere che cosa pensava Chris, quali erano davvero le sue motivazioni. Ci sono molte domande aperte. Ma penso che sia importante continuare a porsi delle domande, soprattutto in questo momento con quello che sta succedendo in Europa e non solo.
Il film è infatti un racconto personale ma all’interno di vicende di guerra e violenza. Vicende recenti: ci sono stati ostacoli da parte delle autorità?
Sì, ci sono stati problemi con le autorità, con la politica. E lo posso anche comprendere: c’è una ragazza svizzera che arriva, che racconta questa storia… è un tema delicato. Ma ho sempre cercato di non accusare la Croazia: non era quello il mio obiettivo, ma raccontare una storia che è sì personale, ma è anche una storia sul meccanismo delle guerre, dei conflitti. Per me non sarebbe cambiato nulla se Chris fosse stato ucciso in Serbia o in Africa. Capisco le difficoltà nel parlare del passato, ma bisogna parlare del pas-
sato, altrimenti c’è il rischio che il passato ritorni, che i conflitti ritornino.
Perché scegliere l’animazione?
Per la forza che ha l’animazione quando si hanno delle immagini simboliche, quando si vuole una prospettiva soggettiva. Cosa che secondo me si lega molto bene al tema del film: la guerra, soprattutto per coloro che la vivono, è soggettiva, personale, intensa. Si può essere uccisi in ogni momento. Io per fortuna non ho mai vissuto la guerra, ma mi hanno raccontato che quando la morte è così vicina, la vita diventa molto intensa e secondo me l’animazione permette di entrare nella testa dei protagonisti. Nella loro testa e nei loro traumi.