‘L’importante è che i giovani rimangano al centro’
Cresciuto e lanciato come giocatore dall’Fc Lugano (con cui disputò due stagioni in Lna tra il ’95 e il ’97) e tecnico per sette anni del Team Ticino, Matteo Vanetta ha certamente le credenziali per dire la sua sull’ormai nota diatriba tra l’associazione del calcio giovanile d’élite e il club bianconero. «Come allenatore devo tutto al Team Ticino, ma se non fossi stato un giocatore non sarei nemmeno arrivato lì, per cui devo tutto anche al Lugano. Purtroppo i problemi in Ticino vengono sempre strumentalizzati per il colore di una maglia piuttosto che quello di una bandiera, o in base a una determinata regione. Schierarsi per l’uno o per l’altro “partito” e spendere energie in questa polemica significa fare un torto e mettere in difficoltà i giovani giocatori che intraprendono l’attività calcistica e che inseguono un sogno. Noi formatori abbiamo il compito di accompagnarli in questo percorso proprio per permettere loro di vivere questo sogno, non per guadagnare sui loro trasferimenti. Potrebbe anche capitare, ma deve rimanere un aspetto secondario rispetto al bene dei ragazzi. Nelle discussioni che ho avuto modo di seguire, questo aspetto è andato un po’ perso e mi dispiace, anche perché tanta gente qui a Berna e nel resto della Svizzera mi ha chiesto cosa succede: non capiscono come mai ci siano così tante discussioni con così tanti talenti a disposizione». Vanetta fa notare come «in questi anni il Team Ticino ha costruito qualcosa di importante e ha formato calciatori che giocano regolarmente in Challenge e Super League e pure all’estero, senza dimenticare i tanti bravi allenatori. Allo stesso tempo il Lugano quando ne facevo parte anche io lanciò i vari Penzavalli, Morf, Carrasco e altri ancora. Ma se non ci fosse stato Bruno Quadri con il suo pool di allenatori, non saremmo certo arrivati a giocare a quel livello solo perché eravamo nel Lugano. Fondamentale, oltre alle competenze, era stata la voglia di investire tempo ed energie nei giovani di casa nostra mettendo la persona al centro e penso che questa sia ancora la strada da percorrere». SC