Prima il passo, poi la testa
Manuele Celio e la nuova avventura alla guida del vivaio biancoblù. ‘Più qualità nel lavoro dal basso e una nuova mentalità’.
L’annuncio arriva all’antivigilia di Natale di un anno fa. Quando l’Ambrì ufficializza il ritorno di Manuele Celio alla Valascia una quindicina d’anni dopo averla lasciata per intraprendere la carriera d’allenatore. Prima in qualità di assistente ai Gck Lions in B, poi su su fino ad arrivare sulla panchina della nazionale U20 in qualità di headcoach. Ora il suo compito è portare tutta quell’esperienza nel settore giovanile biancoblù, di cui è diventato direttore il 1. maggio scorso. «Diciamo che tutto iniziò quando il Cda decise di appoggiare il progetto che io e Paolo Duca avevamo preparato – spiega il 52enne ex attaccante, che in carriera ha totalizzato oltre mille partite con le maglie dell’Ambrì, del Kloten e della Nazionale –. In sostanza, la scelta fu diminuire il budget destinato alla prima squadra reinvestendone una parte (quasi trecentomila franchi, ndr) nel settore giovanile, ciò che ha portato a un aumento del personale a disposizione pari al 250%. Tuttavia, questo dev’essere inteso solo come un primo passo, perché se guardiamo a qualsiasi altra squadra in Svizzera, ci accorgiamo che a disposizione ha un numero di impiegati superiore al nostro. Va da sé, quindi, che per crescere ancora di passettini in futuro ne andranno fatti degli altri». Il primo, intanto, è servito a strutturare meglio il vivaio. «E il prossimo step sarà quello di crescere sul piano qualitativo, migliorando l’efficacia di ciò che facciamo. Quello, appunto, sarà compito mio». Il piano d’azione qual è? «Ci sono due fronti su cui lavorare. Il primo concerne i ragazzi, i quali man mano che crescono vengono
seguiti individualmente. E non ci preoccupiamo soltanto del loro sviluppo hockeistico, ma cerchiamo di assisterli pure nel percorso formativo a livello scolastico, ad esempio quando passano dalle scuole Elementari alle Medie, oppure quando arrivano i contratti di formazione. L’altro fronte, invece, concerne gli allenatori. Infatti io sono anche responsabile del coordinamento, ma pure dell’istruzione dei vari allenatori del settore giovanile. Siano essi professionisti o volontari, cerchiamo di farli crescere programmando la loro carriera un po’ come se
fossero dei giocatori. Accanto a tutto questo, poi, c’è la parte amministrativa, come pure la relazione con i vari partner e la Federazione. Aspetti, questi ultimi, che in questi primissimi mesi di attività ho dovuto un po’ tralasciare».Se c’è un paragone con una realtà come Zurigo in cui hai lavorato a lungo, quale potrebbe essere? «Che il lavoro che faccio io ad Ambrì, allo Zsc lo svolgono in quattro... Ed è vero, parliamo di altri numeri, visto che è pur sempre un bacino di ottocento giovani, mentre ad Ambrì sono circa 250, ma la mole di lavoro non può
semplicemente venir suddivisa per il numero di giocatori che uno è chiamato a gestire». Tutto questo lavoro, quale impatto potrà avere sul futuro? «Dovevamo rifocalizzarci sui giovani, ed è da questo aspetto che siamo partiti. Giovani ticinesi ma non solo, infatti da noi ci sono pure ragazzini che arrivano da fuori, pur se naturalmente l’aspetto della lingua può costituire una barriera. E quando parlo di giovani mi riferisco a gente tra i 10 e i 15 anni d’età: è in quella fascia che dobbiamo aumentare la qualità del nostro lavoro, infatti dai
sedici in su è quasi troppo tardi». Su cosa, in particolare, si dovrà lavorare? «Su una nuova mentalità: serve che i ragazzi capiscano cosa ci vuole per riuscire. Anche se bisognerebbe farlo capire pure a molti genitori, i quali sono convinti che la società sia la sola responsabile della formazione, mentre invece tocca ai ragazzi venire in pista ogni giorno con un obiettivo, e il club li deve supportare mettendo loro a disposizione i coach e le infrastrutture. Perché nell’hockey le cose non si fanno da sole. E se non ti poni dei traguardi, non migliori».