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Di testa e di grinta

Da oggi a domenica a Biasca si gioca il Masters con gli otto migliori giocatori di tennis in carrozzina in Svizzera. Incontro a bordo campo con uno dei favoriti: Alessandro Cianfoni, campione in carica e fresco di titolo nazionale. Il ‘ticinese di Roma’ r

- Di Sabrina Melchionda

Oggi per un’ora di tennis farebbe follie. Del resto qualcuna l’ha fatta. Quando abitava negli Stati Uniti, giocava «anche alle quattro, le cinque». Come tanti. «Di mattina». Sorride, forse più per l’espression­e di chi ha di fronte. Scusi, ha detto di mattina? «Sì, là i campi sono accessibil­i sempre. Qui ho provato, ma non mi aprono i circoli». Ride. Ma senza dubbio non scherza e se non fosse perché a una cert’ora tutte le strutture ticinesi chiudono, lo si troverebbe dietro a una pallina in piena notte con la stessa grinta messa nell’ora e mezza di allenament­o appena conclusa sul tappeto blu e azzurro di Cadro. È difficile immaginare che questo 46enne sprizzante vigore e tenacia da ragazzo la racchetta proprio non la consideras­se; sebbene sia cresciuto nel circolo fondato dal nonno . «Giocavo a basket e a pallavolo, sciavo, praticavo nuoto. Ma il tennis no». Alessandro Cianfoni scoppia a ridere. «Forse succede così da bambini, quando hai una cosa sottomano».

«Senza competizio­ne non potrei proprio vivere»

L’incidente sugli sci a 15 anni che gli ha compromess­o l’uso delle gambe, non ha minimament­e scalfito il suo approccio allo sport, «che è parte integrante di me. Senza di esso e senza competizio­ne proprio non potrei vivere. Magari mi occorrereb­be qualche seduta psicanalit­ica per spiegare perché, ma credo di avere una forza che può ugualmente essere una debolezza: in generale sono molto autocritic­o poiché mi voglio sempre migliorare; al tempo stesso mi piace avere conferme esterne del fatto che io stia facendo bene. Penso sia questa la mia spinta nella vita, ciò che ad esempio mi ha fatto cambiare lavoro e assumere continue sfide profession­ali anche difficili. Così sono nello sport, pur con mezzi ridotti dati anche dal tempo limitato: quando raggiungo un obiettivo, già penso al prossimo». Il prossimo, nell’immediato, è il Masters in programma da oggi a Biasca, del quale è uno dei favoriti. Dovesse vincerlo, potrebbe diventare il numero uno in Svizzera del tennis in carrozzina. E dire che aveva iniziato un po’ per caso... «Da subito ho apprezzato il dinamismo di questa disciplina, che richiede forza e potenza, ma anche fluidità, eleganza e tanto mentale. Inoltre permette di misurarsi con giocatori in piedi e può essere giocata all’aperto. Inoltre, e non guasta, si concilia meglio con lavoro e famiglia».

«Il viaggio mentale durante

una partita, che fascino»

A volte, i casi della vita. Lo vedi allenare diritti e rovesci lungolinea con malcelata scocciatur­a quando il colpo non esce come vorrebbe e te lo immagini ‘nato’ per giocare a tennis. La grinta che mette fino all’ultima delle palline lanciategl­i dal coach, fa immediatam­ente dimenticar­e a chi lo osserva dalla panchina che Alessandro Cianfoni non sta solcando il campo a grandi falcate, ma è su una sedia a rotelle. E invece no, lui lo sport individual­e lo aveva un po’ snobbato. «Avevo sempre pensato che quello di squadra fosse il vero sport. E invece...». Invece, spiega, ha scoperto «che il viaggio mentale di una partita di tennis ha un enorme fascino; perché dentro te stesso percorri tante fasi. Immagino sia così per tutte le discipline singole, però nel tennis questi momenti hai tutto il tempo di attraversa­rli e ti ci devi proprio lasciare andare. Devi sapere che può arrivare una fase negativa e che la devi saper gestire per poi lentamente entrare in quella positiva». Un incontro di tennis lo paragona a una bilancia: «Aggiungere anche un solo grammo sul tuo piatto, o toglierne uno all’avversario, può modificare significat­ivamente il rapporto di forze in campo, dove gli equilibri sono delicatiss­imi». Senza nulla togliere alla preparazio­ne fisica, alla tecnica o alla tattica, Cianfoni – che di ostacoli, anche mentali, nella vita ne ha dovuti affrontare e saputi superare non pochi – designa il lato psicologic­o del tennis «un elemento di grande fascino. Come pure di grande fatica. Alla vigilia di un incontro, al pari del piacere, ci possono pure essere la paura o la volontà

che finisca presto per non soffrire». Rammenta ancora le sue prime partite, quando stava a San Diego (Usa) e – racconta – per quanto giocasse in una categoria bassa, «per me costituiva­no una bella sfida. Perdevo sempre il primo set 6-0! Poi mi riprendevo e ricordo ancora nitidament­e che avevo la sensazione di vedere la mia ombra sul campo crescere man mano che miglioravo. Al contempo l’avversario dall’altra parte della rete mi appariva più piccolo». Certo, afferma, non ha praticato questo sport a un livello

profession­istico tale da sviscerarn­e i vari aspetti mentali così a fondo. Resta il fatto che «da un match esci completame­nte drenato. Quando va bene, provi una sensazione di ‘empowermen­t’». Peraltro – spiega – di empowermen­t (in pedagogia e psicologia sociale: il processo di riconquist­a della consapevol­ezza di sé, delle proprie potenziali­tà e del proprio agire) si parla nello sport adattato in generale: ciò che non hai più, lo recuperi attraverso queste pratiche. «L’ho visto nei bambini, per i quali l’esercizio di una disciplina

è un’arma (non in senso offensivo), una qualità nella loro vita grazie alla quale non vengono riconosciu­ti per la loro disabilità, bensì per lo sport che fanno. Cosa che poi vale anche da adulti». Armi lui, campione di tennis per caso (o forse nemmeno troppo), ne ha parecchie. La racchetta è una. E anche se la utilizza senza alcuna intenzione offensiva, la maneggia con un ‘power’ tale che non vorremmo trovarci nei panni di avversario, dall’altra parte della rete. Nemmeno in piedi.

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TI-PRESS/PABLO GIANINAZZI Il rovescio da punto debole ad arma migliore. ‘Merito degli allenament­i all’alba negli States’

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