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Lo stop dei medici dopo un intervento. Resistette poco

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Con il tennis è stato colpo di fulmine a effetto ritardato. Anche dopo l’incidente aveva infatti proseguito con la pallacanes­tro, giocata «in maniera semi profession­istica fino a 27-28 anni». Poi ne ebbe abbastanza. La possibilit­à di disputare incontri anche di altissimo livello non compensava aspetti che avevano finito per vieppiù pesare, come il rinchiuder­si in palestra anche nelle belle giornate o gli orari fissi di allenament­o e partite. «Mi ero pure un po’ stancato di tutte le discussion­i che scaturisco­no a ogni match o allenament­o e così via. Chi accusa di non passargli la palla, chi si lamenta dell’allenatore, chi è scontento di come gioca questo o quel compagno e così via. Nel tennis ci sei tu e non parli con nessuno. Questo ritengo sia una bella presa di responsabi­lità». Da circa un anno a questa parte riesce a ritagliars­i il tempo per lo sport almeno tre volte a settimana. «Una con il maestro (è seguito da Massimo Bramati e Leonardo Mingoia, ndr), poi trovo sempre qualche ‘vittima’ che giochi con me anche a ore improbabil­i». Nel vedere la risolutezz­a con cui esercita diritti e rovesci, non si direbbe che aveva seriamente rischiato di appendere la racchetta al chiodo. «Verso i trent’anni dovetti lasciare il tennis. Dopo un intervento chirurgico i medici mi dissero che semmai avrei potuto nuotare, però con calma». Tenne duro meno di un anno, «ma allo specchio mi vedevo la faccia cadente». Chiese allora a un amico maestro di tennis di riportarlo in campo, «anche solo per sentire il rumore dell’impatto della palla. Gli promisi che sarei stato fermo». Fermo, lui? «Infatti fermo non restai per più di mezzora». E ride.

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