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In campo vince la stanchezza e si ricarica. ‘Ma non chiamiamol­o più gioco’

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Una persona ‘normale’ troverebbe forse più difficoltà a conciliare una profession­e esigente anche in termini di tempo e la famiglia, con gli spazi che richiede la pratica di uno sport a livello agonistico. Lui no. Con autoironia Alessandro Cianfoni non si inserisce nella casella dei ‘normali’ quando spiega che, «pure dopo dodici ore di lavoro, il mio modo per non essere distrutto è giocare. Quando mi chiedono se non sono stanco morto, rispondo che proprio per questo vado». Il tennis come ricarica – afferma deciso –, più che sfogo. Oggi ha la possibilit­à di fare il pieno di energia più spesso e lo deve anche ai colleghi «con cui formiamo una gran bella squadra, aiutandoci vicendevol­mente. Quando ero da solo, giocavo con l’auricolare e spesso ho dato buca a compagni e maestri, perché venivo chiamato in ospedale». Sereno quanto cocciuto – così ci appare, parola dopo parola –nel ‘mangiare’ una vita da cui avrebbe anche potuto finire per essere ‘mangiato’, non stupisce che abbia saputo trasformar­e il suo rovescio da punto debole a «quella che probabilme­nte ora è l’arma che fa la differenza». L’ha migliorato, racconta, nelle sedute di allenament­o all’alba negli States. «Una volta che non funzionava l’illuminazi­one, dissi al coach: “It’s dark”. È buio. Lui rispose: “It’s not dark, it’s the light of the night”. E nella ‘luce della notte’ giocammo comunque». Ciò che proprio non lo soddisfa, dice con un’inequivoca­bile smorfia, «è il servizio». A Biasca l’obiettivo è vincere il Masters per la terza volta consecutiv­a. Conosce gli avversari, il titolo è alla portata, «anche se ovviamente in partita può succedere di tutto». Quando sa chi affronta, si pone «sempre un traguardo – sorride –. Sempre». Nelle competizio­ni internazio­nali molto dipende invece dal sorteggio. Pur senza classifica fuori dalla Svizzera (partecipa a un solo torneo l’anno, c’è chi arriva a 15-30 ed è praticamen­te profession­ista), «credo di poter fare gioco pari con un numero 70-80 al mondo». A proposito di gioco fa simpaticam­ente notare che «chiamarlo così è penalizzan­te per questo sport. Vai a dire a una moglie, che la lasci a casa a occuparsi di tre figli perché vai a ‘giocare’ a tennis! Ecco, se qualcuno trovasse un altro termine...».

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