laRegione

Quando il lusso se ne va

- Di Daniel Ritzer

Non è detto che gli obiettivi delle aziende siano in linea con quelli della cittadinan­za. Ciò nonostante le strategie d’investimen­to o di disinvesti­mento delle grandi firme possono avere una consi- derevole influenza sulla qualità di vita della popolazion­e che le accoglie. Che sia in termini ecologici, di possibilit­à d’impiego, oppure a livello di gettito fiscale, (…)

Segue dalla Prima (…) appare piuttosto evidente che le decisioni di alcune società transnazio­nali, in un sistema come il nostro, acquisisco­no facilmente una rilevanza sistemica. A dimostrarl­o in questi giorni di preventivi 2019 sono i vari Comuni (Vezia, Cadempino, Bioggio e Sant’Antonino) toccati dalla delocalizz­azione parziale della Luxury Goods. Stiamo parlando del principale contribuen­te per il Cantone tra le persone giuridiche; di un settore, quello della moda, che complessiv­amente lascia nelle casse pubbliche circa 90 milioni all’anno. Ciò che inizialmen­te sembrava soltanto un minor ricavo d’imposta alla fonte, visto il trasferime­nto in Italia di 150 posti di lavoro, diventa ora, conti alla mano, un problema assai più grosso: senza conferme ufficiali da parte del gruppo Kering, ma stando alle proiezioni dei vari Municipi implicati, si può desumere che il gruppo stia valutando di “spostare” una fetta importante della propria fatturazio­ne nei Paesi in cui le merci vengono prodotte (Italia e Francia), adeguandos­i così a tutta una serie di pressioni internazio­nali scaturite all’interno del nuovo paradigma fiscale ‘Beps’ (Base erosion profit shifting). Per l’erario cantonale verranno dunque a mancare importanti risorse (si parla di venti milioni). Ed è a questa decisione di ristruttur­azione aziendale a cui quei Comuni, “beati” dall’arrivo del lusso vent’anni fa, devono ora adattarsi. Cadempino ha annunciato un incremento di nove punti del moltiplica­tore comunale (addirittur­a retroattiv­o dal 1° gennaio 2018). A Sant’Antonino pare che il moltiplica­tore non si tocchi, ma è stata prospettat­a tutta una serie di tagli alla spesa: riduzione degli investimen­ti, drastica diminuzion­e dei contributi a enti, società e associazio­ni locali e minori accantonam­enti per lavori di manutenzio­ne (fognature, strade e vegetazion­e), tra le varie misure di risparmio. Con all’orizzonte una riforma fiscale federale ad ampio raggio (la Rffa), che porrà in forte dubbio la permanenza sul nostro territorio di queste società che non godranno più dello statuto speciale che le ha portate qui, si aggiunge pure la preoccupaz­ione per le finanze delle principali città del cantone nelle quali di queste società a statuto speciale non ce ne sono. Questo in virtù della proposta di ridurre dal 9 al 6 per cento l’imposta sull’utile di tutte le aziende avanzata dal direttore del Dfe Christian Vitta. Per questi agglomerat­i ciò vorrà dire perdere un terzo del gettito delle persone giuridiche; a Lugano per esempio minori entrate per 25 milioni di franchi. Non a caso si fa strada in queste ore l’iniziativa “Per comuni forti” (che al Consiglio di Stato piace poco), che mette in discussion­e la ripartizio­ne di oneri finanziari tra gli enti comunali e il Cantone. La riflession­e conclusiva è di natura politica: se lo Stato (comunale o cantonale che sia) come garante dei servizi e della qualità di vita della cittadinan­za è alle nostre latitudini una condizione sine qua non, non risulta accettabil­e che sia il moltiplica­tore su o giù di qualche punto lo strumento che possa o debba determinar­e il grado di benessere della popolazion­e. Ci sono delle condizioni indispensa­bili (sanità, educazione, previdenza, infrastrut­tura, accesso al consumo) che non possono o almeno non dovrebbero in nessun modo diventare “ostaggi” né delle strategie aziendali, né ancor meno di quelle fiscali.

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