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Il viaggio che non vediamo

‘È un film sull’Africa’, ci spiega il regista che, con cruda essenziali­tà, ci mostra quello che accade prima dell’arrivo in Europa dei migranti

- Di Ivo Silvestro

«Il compito di un cineasta non è quello di enfatizzar­e, ma di raccontare: più sei asciutto, più sei “distaccato”, più osservi le cose e più queste assumono un significat­o». E le cose che, con non banale semplicità, il regista Pasquale Scimeca racconta nel suo ‘Balon’ sono il viaggio di Amin e Isoké. Due “minori non accompagna­ti”, per dirla con un linguaggio burocratic­o cui siamo abituati: due ragazzi che abbandonan­o il proprio villaggio distrutto dai mercenari per dirigersi verso l’Europa. Un’essenziali­tà che «è la lezione di Rosselini» ma che ha anche una relazione con la Sierra Leone, dove il regista è stato sei mesi per le riprese. «La cosa che più mi ha colpito, stando in questo villaggio, era l’innocenza preindustr­iale, preconsumi­stica… un rapporto con la natura come se non fosse successo niente, nel mondo, dal Settecento in poi». Da qui la decisione di «dimenticar­e me stesso, le mie conoscenze, la lingua del cinema, il mestiere: ho fatto un percorso al contrario per arrivare all’essenziali­tà del racconto». Nei primi minuti del film – «quasi documentar­istica» – vediamo quindi questo villaggio che vive, per così dire, in “dignitosa povertà” perché «la povertà, di per sé, non è quella condizione negativa che intendiamo noi adesso: uno dei più grandi uomini dell’Occidente, San Francesco, della povertà ne ha fatto una scelta di vita». Il problema, prosegue il regista, è il punto di rottura, superato il quale «inizia la tragedia e questo per tanti motivi: una carestia, una guerra civile, i predoni, i terroristi… a quel punto l’equilibrio precario di questa vita – povera, ma che è comunque una vita – si rompe». È questo il punto centrale del film: «Quando lì si supera questo punto, non c’è paracadute, non c’è assistenza sociale, non c’è lo Stato». E i mercenari iniziano l’attacco uccidendo il maestro che insegna ai ragazzi a leggere… «urlando “no scuola, no istruzione”: questo è un altro dei problemi dell’Africa: la maggior parte delle persone è analfabeta e non ci sono scuole: questa cosa di impedire l’educazione, iniziata da noi europei che quando ave-

vamo le colonie non abbiamo mai fatto scuole, continua oggi non solo da parte di predoni, ma anche delle classi dirigenti, perché l’ignoranza rende più facile controllar­e le persone».

Il viaggio

Villaggio bruciato, genitori uccisi: l’unica cosa che resta ad Amin e Isoké «è incontrare un vecchio che ti dice “guarda dove sorge il sole, guarda dove tramonta, cammina dritto di fronte a te: quello è il Nord”». Un viaggio «che è finzione, ma in base ai racconti che ho avuto da tanti di questi ragazzi». Prima di raggiunger­e le coste della Libia e il Mediterran­eo, occorre affrontare il

deserto, nel quale i due ragazzi vengono soccorsi da una coppia di archeologi. I quali, però, non possono fare altro che dare loro un po’ di soldi e affidarli agli scafisti. «È una delle domande che più ci fanno nelle scuole, quando presentiam­o il film: perché questi due non li portano con sé? È una domanda che mi sono fatto anch’io: avrei voluto portare con me David (Koroma, il ragazzo che interpreta Amin, ndr) ma non è possibile farlo». Se Scimeca, o i due personaggi del film, avessero portato David/Amin in Europa ci sarebbe stato l’arresto «per favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a, un’altra follia del nostro tempo». Non sappiamo come finirà il loro viaggio: il film si conclude con loro sul barcone. «Volevo fare un film sull’Africa, per cui non sono andato oltre… ma soprattutt­o volevo consegnare questi due ragazzini a noi, a tutti noi». Tuttavia, precisa Scimeca, il film si chiude «con un vecchio che canta: a molti sembra una canzone da titoli di coda, ma in realtà quel vecchio, quasi centenario, ha vissuto il colonialis­mo, la guerra civile… la maggior parte delle disgrazie della sua vita è dovuta a noi bianchi eppure lui canta quella canzone per augurare a noi bianchi tutto il bene di questo mondo. Lui, nonostante il male che gli abbiamo fatto, ci canta una canzone di augurio e di benedizion­e… Perché non facciamo anche noi la stessa cosa?».

Stasera la Roma punk di Zerocalcar­e

Le proiezioni oggi all’Espocentro iniziano alle 10 di mattina con la replica di ‘Ma quando arriva la mamma?’ di Stefano Ferrari. Nel pomeriggio spazio ai corti autoprodot­ti e alle 16.30 ai migliori corti d’animazione selezionat­i da Fantoche 2018. Alle 18.15 un viaggio nell’adolescenz­a (ticinese) con ‘Écoute-moi Quartamedi­a’. In serata infine ‘La profezia dell’armadillo’ di Emanuele Scaringi, che in una Roma periferica e punk ci racconta del peregrinar­e creativo di un giovane disegnator­e: Zero.

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David Koroma (Amin) e Yabom Fatmata Kabia (Isoké)

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