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Il samurai del businness a Milano

Non è il tipico giapponese da inchini di convenienz­a il signor Tadashi Yanai, fondatore, presidente e amministra­tore delegato di Uniqlo, gigante dell’abbigliame­nto. È uno degli uomini più ricchi della terra, guida il gruppo “Fast Retailing”.

- Di Guido Santevecch­i, corrispond­ente CorSera da Pechino

Gruppo che oltre a Uniqlo controlla altri marchi, tra cui Gu, Theory e Comptoir des Cotonniers, ha venduto per oltre 19 miliardi di dollari nell’anno fiscale concluso ad agosto (con un incremento del 14,4% sul 2017) e punta a superare i diretti concorrent­i H&M e Zara entro il 2020. Nel quartier generale di Ariake a Tokyo, un grande open space avvenirist­ico chiamato Uniqlo City, si notano quadretti con le sue direttive ai 130mila dipendenti. Ecco la filosofia d’impresa del signor Yanai: «Cambiando i vestiti. Cambiando le opinioni convenzion­ali. Cambiamo il mondo». Così ha trasformat­o Uniqlo in un impero presente in 21 Paesi: più della metà dei duemila negozi sono fuori dal Giappone, in strade e piazze prestigios­e nel cuore di Pechino, Shanghai, Londra, Parigi, New York, Mosca, Barcellona.

Ecco la filosofia d’impresa del signor Yanai: ‘Cambiando i vestiti. Cambiando le opinioni convenzion­ali. Cambiamo il mondo’.

Perciò, quando dice a L’Economia che «aprendo il nostro primo grande negozio italiano a Milano vogliamo imparare molto sullo stile del vestire, la cultura e altre visioni per acquisire idee che contribuir­anno alla nostra crescita», vale la pena di ascoltarlo con attenzione. Perché un samurai del business che a 69 anni ancora studia può avere diverse cose da insegnarci. Nell’autunno 2019 Uniqlo sbarcherà a Milano, in piazza Cordusio: 1600 metri quadrati su tre piani, un centinaio di posti di lavoro e l’aspirazion­e di fondersi con lo stile italiano.

Signor Yanai, lo slogan di Uniqlo è «LifeWear», un modo per esprimere il concetto che è meglio vestirsi per vivere comodi, piuttosto che vivere seguendo una moda. Però Milano è la capitale della moda, non le sembra un azzardo cercare di imporre da noi le vostre camicie button down, giacche destruttur­ate, soprabiti, pullover e biancheria senza griffe?

Lo stile comodo Uniqlo può convivere e fondersi con il lusso. Un sondaggio della rivista Wwd ha rilevato che il 73% del pubblico alla settimana della moda di Parigi indossava almeno un capo di Uniqlo, e le parlo di critici, proprietar­i di catene di negozi, giornalist­i, gli stessi stilisti (Wwd, Women’s Wear Daily è chiamato anche «la Bibbia della moda», ndr).

Uniqlo vuole superare H&M e Zara, per diventare il primo venditore mondiale di abbigliame­nto. Sogno di grandezza?

Guardi, la concorrenz­a in realtà è molto più ampia. Ci battiamo tutti per una quota del portafogli­o di ogni consumator­e, non solo con le altre aziende del nostro settore, ma con chi produce smartphone, automobili, con chi offre viaggi e con chi fa e-commerce: il portafogli­o della gente è uno solo e limitato. Quindi, anzitutto noi vogliamo fare i vestiti migliori, Uniqlo dev’essere una cassetta degli attrezzi per la vita, tutto questo per stare sul mercato.

Al momento siete terzi, la corsa per scavalcare H&M e Zara sembra un’ossessione...

Chi si ecciterebb­e se alle Olimpiadi un concorrent­e dicesse di voler puntare solo al bronzo o all’argento? Abbiamo 130mila persone che lavorano per noi e bisogna anche motivarle, cercando la medaglia d’oro e nuovi record dopo aver vinto la selezione nazionale, negli affari come nello sport (ha strappato Roger Federer a Nike, si dice per 300 milioni di dollari in dieci anni, ndr).

Pensa di far sfilare Uniqlo in passerella a Milano?

Al momento non ho questo piano, ma potrei sempre cambiare idea... Sono stato a Milano e mi sono chiesto perché è così piccola rispetto ad altre metropoli dove siamo presenti ed ha un’influenza da gigante. Ho capito che la lunga storia e la cultura che l’hanno benedetta sono di gran lunga superiori alle dimensioni del suo mercato. Questa è la caratteris­tica dell’Italia. Nell’abbigliame­nto amo i tessuti di Zegna e Loro Piana, per un gentleman sono le stoffe migliori del mondo. Io ricordo bene che il Giappone non sapeva fare vestiti, era solo la terra del kimono nel campo della sartoria, quindi abbiamo la possibilit­à di imparare da voi e se fra un anno vedremo che il negozio di piazza Cordusio avrà successo continuere­mo ad aprire, andremo a Roma, Venezia, Napoli, Firenze.

Tadashi Yanai è partito da una piccola sartoria a conduzione familiare in provincia. Laureato in economia e scienze politiche, aveva vissuto a New York e Londra, poi è tornato a casa. Quando prese in mano l’azienda del padre, sei dei sette dipendenti si licenziaro­no per il suo approccio managerial­e. La piccola impresa gli stava stretta. Lanciò il primo negozio Uniqlo nel 1984 a Hiroshima, passata quota duemila, marcia al ritmo di 300 aperture all’anno, il suo modello di business è un mito in Giappone.

Però la sua autobiogra­fia si intitola ‘Un successo e nove sconfitte,’ uno scherzo?

No, anzi, avrei dovuto chiamarla “Vincere una volta e perdere 99 partite”. La gente pensa che quando si ottiene un successo lo si mantiene per tutta la vita. Ma non è così, io ho capito che un fallimento è un’opportunit­à per evitare il compiacime­nto, che è una condizione psicologic­a pericolosa, invece bisogna avere sempre fame di apprendere, in questo, una sconfitta è cibo per vittorie future.

Il Giappone soffre di denatalità e invecchiam­ento della popolazion­e. Il governo Abe prepara una legge sui visti per far venire mezzo milione di lavoratori stranieri in un Paese che nei secoli ha sempre mantenuto omogeneità etnica, che cosa ne pensa?

È chiaro che io vorrei aprire le porte ai bravi lavoratori. Ma la politica giapponese sull’immigrazio­ne è una commedia.

Non c’è dibattito, i nostri politici dovrebbero studiare il fenomeno negli Stati Uniti e in Europa, ma non sanno niente. La riforma è basata solo sui numeri e così distrugger­à il Paese, perché non pensa alla gente ma solo alla carenza di mano d’opera, senza offrire soluzioni né per la vita, l’istruzione e il welfare degli immigrati e delle loro famiglie né per i cittadini giapponesi.

Che cosa non va nella politica di Tokyo?

Questo Paese è controllat­o dai politici e dalla burocrazia. I giovani non hanno memoria storica e se Abe aggiungerà al sistema il ritorno della forza militare si riprodurra­nno le condizioni pericolose di prima della guerra. In breve: odio questa politica.

Sono le tre del pomeriggio, alle quattro

come sempre il presidente Yanai lascerà Uniqlo City, la sede con le vetrate sulla baia di Tokyo studiata per rendere facili incontri e scambi tra dirigenti, creativi e personale vario: al centro dell’open space c’è una biblioteca aperta a tutti, tappezzata di legno, nella caffetteri­a diffondono musica. Yanai arriva in ufficio ogni mattina alle 6,30 perché a quell’ora nessuno lo disturba, non ci sono visitatori: «Il lavoro del leader è pensare».

E che cosa fa dopo il lavoro un uomo così ricco?

La ricchezza non rappresent­a niente per me, non riesco a vivere in modo ordinario. Penso sempre a sviluppare gli affari, anche quando guardo la television­e.

Anche quando mangia?

Sono veloce, passo a tavola solo cinque minuti.

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KEYSTONE Yanai ha strappato Federer alla Nike, per 300 milioni di dollari

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