L’economia: ‘Basta tassi in crescita’
Vuoi vedere che ha ragione Donald Trump nell’accusare la Fed di compromettere la crescita economica con continui rialzi dei tassi d’interesse?
Se anche un personaggio come il miliardario Stanley Druckenmiller, non tenero verso il presidente americano e, in passato, assai critico sulla politica troppo espansiva della banca centrale, sostiene ora che la Fed deve ripensare la sua azione e cessare il rialzo dei tassi, dev’esserci qualche buon motivo. La buona ragione sta nella caduta della Borsa e nell’accentuata debolezza dei bond che prefigura la fine di un ciclo quasi decennale di rialzi generalizzati dei mercati. Di questa ragione si fanno forza parecchi investitori e pressoché tutti gli operatori di Wall Street. Siccome la salute dei mercati non è di per sé condizione sufficiente a far recedere la Fed dai suoi propositi, si argomenta che è l’economia a chiedere tassi d’interesse non più in crescita: non tanto quella presente, che appare ancora florida, ma la futura crescita economica che sarebbe compromessa da una lunga serie di fattori interni ed esterni. Tra i primi, c’è il rialzo dei tassi Fed che vanificherebbe i benefici fiscali varati da Trump e aggraverebbe le conseguenze della guerra tariffaria voluta da Trump. Fa gioco prospettare una brusca frenata delgli
l’economia nel 2019 e persino il rischio di una recessione, secondo alcuni, o quanto meno di un vistoso rallentamento, secondo i più. Ma al di là delle forzature lessicali, le previsioni degli economisti delle banche d’affari prospettano solo una limatura della crescita che, nel caso degli Stati Uniti, sarebbe di 3 decimali (dal 3,8% del 2018 al 3,5%), secondo Goldman Sachs. Eppure, il mercato sta sposando proprio la tesi di una Fed finalmente consapevole del proprio “errore” e pertanto orientata a moderare, se non arrestare del tutto, il processo di normalizzazione monetaria. Lo avrebbero suggerito i toni pacati colti nei discorsi del vicepresidente Richard Clarida e persino in quello di Jerome Powell che, meno di due mesi fa, aveva fatto intendere che c’è ancora parecchia strada per raggiungere e poi superare un tasso d’interesse ritenuto neutrale. Invece, Powell ha ora dichiarato che la Fed è ben conscia delle «sfide alla crescita che si presentano nel 2019» tra cui proprio quella della «normalizzazione monetaria». E Clarida è stato ancor più esplicito nell’affermare che ha senso fermare il rialzo dei tassi in prossimità del livello neutrale: parole che a Charlie McElligott di Nomura sono suonate alla stregua di un «effettivo taglio dei tassi». La sua conclusione è che la Fed sarà costretta a una pausa dopo marzo. Costretta da cosa? Dal preoccupante rallentamento economico che si sta preparando, risponde lo strategist. Di questo rallentamento si scorgono segnali solo nei toni usati da chi crede di condizionare la Fed lanciando allarmi. È vero che s’è vista una limatura nell’indice di fiducia, una stagnazione negli ordini di beni durevoli e qualche sussidio di disoccupazione in più. Ma s’è trattato di correzioni che hanno riportato indicatori ai livelli di tre mesi fa. E poi quale recessione si starebbe preparando se le stime di crescita del 2019 sono state accorciate di qualche decimo o di un punto nella peggiore delle previsioni: che equivarrebbe a un’economia in rialzo del 3%. Persino la relativamente pessimista Bank of America proietta un Pil globale al 3,6% il prossimo anno. Ci vuole ben altro, considera Goldman Sachs, per far deviare la Fed dal suo percorso e anche il presunto allarme che arriva da spread in risalita per i bond societari è poca cosa – sostiene - poiché nel 2016 il fenomeno fu più marcato e ben lontano dal segnalare recessione. Eppure, la Fed si dovrà fermare al più presto, dicono ad alta voce operatori e investitori e, in tono più composto, suggerisce il mercato, che ha ridotto sensibilmente la probabilità di un rialzo a dicembre (al 75% dall’84% di un mese prima) e di altri due nel 2019 (36% dal 62%). Ci si fa forza citando una «anonima fonte all’interno della Fed» riportata dall’agenzia americana Mni, secondo la quale la banca centrale arresterà la normalizzazione monetaria a inizio primavera: insomma, ci saranno altri due rialzi dei tassi e poi più nulla, concludono Morgan Stanley e Nomura. E c’è chi dice, pregando di non essere citato, di non aspettarsi nemmeno quello del prossimo dicembre. Se così fosse, Wall Street avrebbe dovuto riprendersi e non ritoccare il minimo dell’anno. Forse perché le strette potrebbero essere quattro, come invece prevedono Goldman, BofA e Jpm.