Gli scogli della May, i falchi ‘brexiteers’ e i nordirlandesi
Londra – Un accordo senza ‘piano B’, nelle parole di Theresa May riecheggiate ieri a Bruxelles anche dai leader di diversi Paesi dell’Ue. Ma anche senza maggioranza al Parlamento di Londra: almeno per il momento. Il divorzio fra Regno Unito e club europeo è cosa fatta, eppure il finale resta da scrivere e gli interrogativi sono tutti a Westminster, dove la premier si presenterà a mani nude per la battaglia sulla ratifica, in calendario a dicembre. I numeri sono contro di lei. Sul risicato fronte dei banchi governativi si confermano le defezioni annunciate di uno zoccolo duro di falchi Tory brexiteers che non mostrano alcuna intenzione d’inchinarsi alla disciplina di partito. Poi ci sono gli unionisti nordirlandesi del Dup, la cui leader, Arlene Foster, esclude “in qualsiasi circostanza” il sì a un testo che prevede la spada di Damocle del cosiddetto ‘backstop’: lasciando aperta a suo dire la possibilità – sia pure teorica – di una futura ‘linea di confine’ interna fra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno. Sulla carta il dissenso potrebbe assestarsi su questo lato della barricata a una cinquantina di voti perduti. Ampiamente bastevoli a far saltare il banco. Tanto più che sulla trincea avversa rimbomba la linea durissima, se non altro a parole, delle opposizioni. A pesare di più è il gruppo del Labour di Jeremy Corbyn il quale preannuncia un no ‘senza se e senza ma’ alla ratifica di un accordo bollato come frutto di “un miserabile fallimento negoziale” che farà nascere una Brexit a metà “con il peggio dei due mondi”. Per tutta risposta, May prova a far leva come arma di pressione sulla paura del salto nel buio, sbandierando il sostegno del business e invocando quello “del popolo” in una lettera alla nazione, giudicata, “disperata”.