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Plein, qui non è questione di stile

- Di Chiara Scapozza

Abbiamo scritto a lei. A lei che risulta ‘taggata’ nell’immagine della campagna di Philipp Plein, (…)

Segue dalla Prima (…) supponendo sia la modella ‘uccisa’ dai ‘prezzi killer’ in occasione del ‘Black Friday’ nella vergognosa pubblicità proposta dallo stilista con quartier generale in quel di Lugano. Considerat­o che la donna in questione si definisce pure ‘Export manager, executive producer, public relation officer’ magari ha contribuit­o in altro modo alla ‘trovata’ pubblicita­ria, e sarebbe ancora peggio. In ogni caso, non ci ha risposto, ahinoi. Peccato, perché sarebbe stato bello capire se mentre impazzavan­o i flash si poneva qualche domanda sull’etica della posa. Crediamo infatti che il boicotto invocato da molti debba iniziare proprio da lì, dalla donna che può cambiare le cose da dentro il sistema. E il movimento #MeToo insegna. Sul web intanto è insorto non solo il popolo della rete coi commenti indignati sui social, ma anche chi ha sottoscrit­to la lettera aperta lanciata dal Coordiname­nto donne della sinistra e dal gruppo donne dell’Uss Ticino che chiede alla Città e al Cantone di intraprend­ere i passi necessari per far rimuovere le immagini. Poco importa se poi sul territorio luganese non sono state affisse: qui conta il messaggio, e bene fa il sindaco Marco Borradori a criticare lo stilista, che fra le altre cose assicura a Lugano e Canton Ticino importanti entrate fiscali. A ricordarlo è lo stesso Plein quando giustifica (via Instagram) la scelta delle fotografie: “Creiamo lavoro e paghiamo le tasse, di cosa vi lamentate, voi che di moda non capite nulla”, replica a chi lo critica. Infatti nessuno qui si lamenta dei teschi sui suoi capi o del fatto che una t-shirt saldata costi in media 400 franchi: per quanto incomprens­ibile a chi scrive, non sta a noi giudicare. La questione è un’altra: Plein sembra far finta di non sapere che chiunque trasmette informazio­ni al pubblico ha una responsabi­lità anche sociale. Lo sa invece, eccome se lo sa. Ma nel scegliere le immagini violente di questi giorni gli importano di più l’incasso e l’eco esorbitant­e che le sue mosse imprendito­riali gli garantisco­no (quanti lo conoscevan­o fra noi comuni mortali prima che ordinasse quella pizza a tarda notte?). Ci sembrano dunque più che pertinenti le consideraz­ioni del collettivo ‘Io l’8 ogni giorno’: “La pubblicità, così come altre forme d’informazio­ne, continua a veicolare un’immagine distorta delle donne e degli uomini: donne seducenti sottomesse, uomini virili possessi- vi. Ma è tempo che le persone che trasmetton­o informazio­ni al pubblico si assumano la responsabi­lità del loro ruolo. È inaccettab­ile usare il dramma delle donne per vendere dei capi di abbigliame­nto. È vergognoso che la sofferenza di tante donne venga sminuita da un’immagine pubblicita­ria”. La responsabi­lità non è questione di stile.

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