laRegione

Nobile e delicata

Famiglia, cuore e buoni sentimenti: ed eravamo lì a parlare di boxe

- di Marzio Mellini

Eravamo quattro amici al bar. Anzi no, non ce ne voglia Gino Paoli, ma in realtà non era un bar, bensì una locanda. Calda, accoglient­e. Proprio come la famiglia che si allarga per abbracciar­e un paio di amici (quelli sì, c’erano), per scambiare con loro quattro chiacchier­e e goderne la compagnia. Sullo sfondo, il pugilato, passione comune, filo rosso. Tema centrale ma non esclusivo, anzi.

«Se non fosse per Marzio, per il pugile che è diventato, per la qualità che so di trovare ‘facendo guanti’ con lui e per l’accoglienz­a che mi viene riservata ogni volta che ‘salgo’, non sarei qui, non a due settimane da un match importante come quello che mi aspetta a Firenze». Campano di nascita, adottato da Arezzo, con quell’inflession­e toscana che è un piacere per le orecchie, una simpatia contagiosa e quella somiglianz­a con Christian ‘Bobo’ Vieri, Orlando Fiordigigl­io riflette i buoni sentimenti che lo animano: sereno, rilassato, divertito. In breve, a suo agio. Per due sere lui e Marzio Franscella se le sono date di santa ragione, per la gioia di chi li ha visti all’opera, profession­ali, impegnati, ma distesi: due volte otto riprese ‘a tutta’, per uscirne provati ma felici, appagati dalla condivisio­ne di sensazioni forti cui contribuis­cono, in egual misura, la fatica e l’amicizia, con l’una che rafforza l’altra, ogni volta che i guanti vengono a stretto contatto e scaricano pugni. La boxe che si professa nobile arte si scopre anche delicata, guarda un po’. Marzio si tocca un braccio, i muscoli dolgono, ma è un bel sentire, dai. Orlando ammette che l’amico picchia, picchia eccome. Era marzo quando ebbe a dire. «Ora sì che combatte come un profession­ista». Allora lo ritrovò per una sessione di sparring di quelle toste, sotto gli occhi vigili di Alfredo Farace. Siamo a novembre, e Marzio è cresciuto, sotto la guida del maestro, o mentore che sia, anch’egli uno di famiglia, ormai. Alfredo non c’è, stavolta. Lui la boxe la fa parlare in palestra, sul ring, nei pressi del quadrato sui cui spende la propria passione. «Farace ha colto in pieno i tuoi pensieri», spiega Marco Franscella, che quelle riprese si è gustato, restandone ammaliato in veste di papà e manager orgoglioso, ma anche di ex atleta e dirigente che sa riconoscer­e la qualità, quando la vede. «Eh, ma Alfredo ne sa, quante ne sa», replica Orlando, che del maestro apprezza la competenza e la capacità di analisi. «Alla vostra meraviglio­sa famiglia, all’affetto che mi trasmettet­e, all’amicizia che ci lega». In alto i calici, per un brindisi non banale. Già è bello che qualcuno ci pensi, a ringraziar­e e rendere omaggio, se poi sono parole a effetto, giù il cappello. Parole che sgorgano dal cuore di Orlando, un uomo il cui animo gentile sembra fare a pugni con la forza che sa invece trasferire sul ring, dove si è fatto una fama di combattent­e particolar­mente gagliardo.

Pugile, certo, ma con una carezza nel nome che ne tradisce la natura semplice, che ben si sposa con i valori propri alla famiglia Franscella. Qualche spigolo c’è anche lì, e non potrebbe essere altrimenti. Smussato, però, da una genuinità che prende comunque il sopravvent­o, e ammanta di serenità l’atmosfera del luogo in cui l’incontro avviene, e vi si consumano ore liete.

Il senso dell’accoglienz­a

A Marco piace così: riunioni attorno a una tavola imbandita, per parlare di pugilato anche se il pugilato altro non è che l’argomento che accomuna i presenti, ma funge da pretesto per un incontro tra amici e familiari, che poi parlano

d’altro; per il semplice gusto di ritrovarsi, di stare assieme in allegria, bevendo un calice di nettare, gustando un piatto. Famiglia, appunto, in cui trascorrer­e momenti lieti e di una semplicità che par scontata, ma scontata non è. Che si declina in accoglienz­a. Manu ascolta e interviene. Di boxe lascia parlare chi ne sa, su famiglia e vita, però, la sua la dice. «Vengo a trovarti ad Arezzo con Gaia, Orlando». Sarò lieto di allenarla io, se venite giù». Gaia è la ‘piccola’ di famiglia, contagiata dalla passione di casa, i guantoni. Per la gioia di Marco. La mamma avrebbe da ridire ma tant’è, la scintilla è scoccata da tempo. Esattament­e come per Alessio, il ‘fratellino’, valoroso dilettante sottratto al calcio, e dicono giocasse pure benino. Dal campo al ring, dove si diverte di più. È Kurt, lo chef, stavolta. Un amico, anche lui. Di boxe ne sa, ne ha masticata. Anche di calcio, certo, e la schiena ringrazia... Era un’altra epoca, ma i contatti non li ha persi. Sono affetti, più che conoscenze, e li ha coltivati nel tempo. Una cena, un dessert, un caffé. E chiacchier­e, tante allegre chiacchier­e. La boxe, come detto, offre lo spunto iniziale. Poi il discorso si amplia: le vacanze, l’ospitalità, gli amici, i figli, gli allievi della palestra di Arezzo. Poi c’è la caccia, l’altra passione di famiglia. Sta sulle sue, Marzio, a volte. Ma la sua loquacità la scopri quando racconta di cervi e camosci, con una sensibilit­à che vorresti accompagna­rlo, mentre si inerpica per un sentiero impervio di montagna, per uno di quegli incontri ai quali solo il cacciatore – quello che la caccia pratica con il dovuto rispetto, delle regole e dei suoi codici – riesce a dare il giusto significat­o. Il profano può solo immaginare, ma se ha un cuore sa leggerci amore e profondo rispetto.

‘Lo voglio, quel titolo’

Aneddoti e ricordi si intreccian­o. Gli occhi di Orlando si accendono, quando parla del piccolo che «è come una furia, non sta mai fermo», dice mostrando con orgoglio qualche scatto rubato alla sua quotidiani­tà in Toscana.«Tutto ruota attorno a lui», ebbe a dire, e a giudicare dallo sguardo continua a pensarla così. Scippato di un titolo europeo un anno fa, a ridosso di un Natale amaro, Orlando è pronto a riprenders­i quanto gli sarebbe spettato, spinto dall’orgoglio del combattent­e, e da quella carica che gli viene dal figliolett­o, il primogenit­o che gli ha cambiato la vita che compie due anni venerdì, il giorno del combattime­nto del papà nell’importante riunione del Teatro Obi Hall di Firenze, tappa in direzione di quella corona che sente sua, che vuole far sua. «Ce l’ho ancora qua, quel verdetto. Lo voglio, quel titolo», detto con decisione, e con la “q” che scivola via con l’inflession­e toscana che lascia lì solo una “u” aspirata. Se tanto mi dà tanto, la ricorrenza speciale è un segno del destino da cogliere. Il compleanno del piccolo fiore di casa Fiordigigl­io è un motivo in più per vincerlo, quell’incontro. E lanciare così la caccia alla corona continenta­le, fissa ma non fardello. Obiettivo sportivo, non assillo. Si è fatto tardi, ragazzi. Domani tappa a Milano, per fare guanti anche lì, e chiudere il cerchio prima di lasciarsi e consegnars­i ai rispettivi percorsi sportivi. Orlando a Firenze, ospite della serata che ha quale principale attrazione Fabio Turchi. Su Marzio le luci si accendono l’indomani, il primo dicembre, nella sua Ascona, per allungare il filotto di cinque vittorie: percorso netto da quando ha fatto il passo nei profession­isti. I destini sembrano legati, l’uno tira la volata all’altro. Le strade si separano, ma altri incroci seguiranno. Esserci è un privilegio, e continuerà a esserlo. Ormai Orlando è di famiglia, ‘sale’ volentieri. Come dice lui «venire qui da voi mi fa sempre un gran bene. Stacco, mi rigenero». Si vede e si sente. E di certo non butta via il tempo. Perché Marzio nel frattempo «combatte proprio come un profession­ista». Parola di amico, uno di famiglia.

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TI-PRESS/D. AGOSTA Per Marzio il ritorno ad Ascona dopo le tre vittorie ottenute a Milano

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