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Indifendib­ile ma ‘graziato’

Cade l’accusa di tentato omicidio intenziona­le per il 45enne che minacciò un agente col coltello L’uomo era stato fermato ad un posto di blocco e si era rifiutato di recarsi in Centrale per accertamen­ti sull’alcolemia. Brandì l’arma, ma ‘non per uccidere’

- Di Davide Martinoni

La polizia lo aveva fermato, una notte dello scorso mese di marzo, ad un posto di blocco istituito a Riazzino. E aveva tentato di tradurlo in Centrale per accertare fino a che punto fosse positivo all’alcoltest. Ma lui non aveva voluto saperne perché troppo ingombrant­e era il ricordo di un precedente fermo di polizia, quando, mezz’anno prima, era stato sospettato di aver perpetrato due furti con scasso ai danni di gioielleri­e di Locarno. Così, al blocco sul Piano aveva reagito d’impulso, facendo credere di voler estrarre dallo zaino «un documento importante» (la lettera di licenziame­nto ricevuta il giorno prima dall’azienda in cui fino a quel momento insegnava contabilit­à analitica) ma tirandone invece fuori un coltello da caccia; quello stesso coltello che l’imputato ha detto di portare sempre con sé «quando vado nei boschi, per difendermi dalle bestie feroci e anche, se necessario, dalle persone». Brandendo l’arma aveva seriamente minacciato un agente, che per evitare il primo fendente, ha ricordato in aula il poliziotto stesso, aveva dovuto gettarsi a terra. Poi il 45enne si era dato alla fuga, rincorso da 6 poliziotti che lo avevano infine catturato e finalmente messo in manette. È una storia triste e incredibil­e, quella raccontata ieri alle Criminali di Locarno. Incredibil­e se non fosse che dietro l’equilibrat­o aspetto da studioso dell’imputato si nasconde una fragilità estrema, frutto di un vissuto complicato che ha determinat­o un disturbo schizoide. Incredibil­e, anche, che la stessa persona, già docente liceale, e prima ancora laureato dopo un brillante percorso di studi, nel settembre del 2017 sarebbe stato l’autore di due furti con scasso in altrettant­e gioielleri­e di Locarno; furti ai quali sembrerebb­e inchiodato da molti schiaccian­ti indizi, ma che l’imputato ha sempre continuato ostinatame­nte a negare; anche ieri in aula. Alla base di tutto, la sua situazione finanziari­a disastrosa, tradotta in debiti per oltre 100mila franchi e ulteriorme­nte aggravatas­i dalla perdita dell’ultimo posto di lavoro quale docente d’azienda.

Di 5 anni la richiesta dell’accusa

L’accusa, sostenuta dalla procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo, ha sottolinea­to il carattere «tradiziona­lista, chiuso ai cambiament­i, testardo» dell’imputato, che «pretende un controllo assoluto della situazione, senza mai fare autocritic­a». Per i fatti contestati la magistrata ha chiesto una pena di 5 anni, con l’obbligo di un trattament­o ambulatori­ale da seguire in carcere. Ha cercato invece di far leva sulla fragilità, sul pentimento e sulla collaboraz­ione fornita agli inquirenti l’avvocato di difesa, Chiara Bianchetti, che ha voluto relativizz­are il pericolo corso dall’agente nel momento dell’aggression­e, sostenendo che «non c’è mai stato un pericolo di morte imminente, né lesioni gravi, né esposizion­e a pericolo della vita altrui». Bianchetti ha infine auspicato una riduzione della pena, non opponendos­i, ma anzi sostenendo anch’essa l’opportunit­à di un trattament­o ambulatori­ale. Una tesi, quella difensiva, fatta propria dal presidente della Corte, giudice Amos Pagnamenta, che ha infine pronunciat­o una sentenza mite, quasi “comprensiv­a” rispetto all’uomo e alle sue molte difficoltà. Per Pagnamenta non vi fu il tentato omicidio intenziona­le prefigurat­o nell’atto d’accusa dalla pp Lanzillo, ma unicamente i reati di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, e l’esposizion­e a pericolo della vita altrui. Tradotto in pena: 24 mesi di detenzione, di cui però soltanto 10 da espiare e gli altri sospesi per 2 anni. A discrezion­e dell’imputato, infine, il sottoporsi o meno ad un trattament­o ambulatori­ale.

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TI-PRESS Il giudice Amos Pagnamenta

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