Indifendibile ma ‘graziato’
Cade l’accusa di tentato omicidio intenzionale per il 45enne che minacciò un agente col coltello L’uomo era stato fermato ad un posto di blocco e si era rifiutato di recarsi in Centrale per accertamenti sull’alcolemia. Brandì l’arma, ma ‘non per uccidere’
La polizia lo aveva fermato, una notte dello scorso mese di marzo, ad un posto di blocco istituito a Riazzino. E aveva tentato di tradurlo in Centrale per accertare fino a che punto fosse positivo all’alcoltest. Ma lui non aveva voluto saperne perché troppo ingombrante era il ricordo di un precedente fermo di polizia, quando, mezz’anno prima, era stato sospettato di aver perpetrato due furti con scasso ai danni di gioiellerie di Locarno. Così, al blocco sul Piano aveva reagito d’impulso, facendo credere di voler estrarre dallo zaino «un documento importante» (la lettera di licenziamento ricevuta il giorno prima dall’azienda in cui fino a quel momento insegnava contabilità analitica) ma tirandone invece fuori un coltello da caccia; quello stesso coltello che l’imputato ha detto di portare sempre con sé «quando vado nei boschi, per difendermi dalle bestie feroci e anche, se necessario, dalle persone». Brandendo l’arma aveva seriamente minacciato un agente, che per evitare il primo fendente, ha ricordato in aula il poliziotto stesso, aveva dovuto gettarsi a terra. Poi il 45enne si era dato alla fuga, rincorso da 6 poliziotti che lo avevano infine catturato e finalmente messo in manette. È una storia triste e incredibile, quella raccontata ieri alle Criminali di Locarno. Incredibile se non fosse che dietro l’equilibrato aspetto da studioso dell’imputato si nasconde una fragilità estrema, frutto di un vissuto complicato che ha determinato un disturbo schizoide. Incredibile, anche, che la stessa persona, già docente liceale, e prima ancora laureato dopo un brillante percorso di studi, nel settembre del 2017 sarebbe stato l’autore di due furti con scasso in altrettante gioiellerie di Locarno; furti ai quali sembrerebbe inchiodato da molti schiaccianti indizi, ma che l’imputato ha sempre continuato ostinatamente a negare; anche ieri in aula. Alla base di tutto, la sua situazione finanziaria disastrosa, tradotta in debiti per oltre 100mila franchi e ulteriormente aggravatasi dalla perdita dell’ultimo posto di lavoro quale docente d’azienda.
Di 5 anni la richiesta dell’accusa
L’accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, ha sottolineato il carattere «tradizionalista, chiuso ai cambiamenti, testardo» dell’imputato, che «pretende un controllo assoluto della situazione, senza mai fare autocritica». Per i fatti contestati la magistrata ha chiesto una pena di 5 anni, con l’obbligo di un trattamento ambulatoriale da seguire in carcere. Ha cercato invece di far leva sulla fragilità, sul pentimento e sulla collaborazione fornita agli inquirenti l’avvocato di difesa, Chiara Bianchetti, che ha voluto relativizzare il pericolo corso dall’agente nel momento dell’aggressione, sostenendo che «non c’è mai stato un pericolo di morte imminente, né lesioni gravi, né esposizione a pericolo della vita altrui». Bianchetti ha infine auspicato una riduzione della pena, non opponendosi, ma anzi sostenendo anch’essa l’opportunità di un trattamento ambulatoriale. Una tesi, quella difensiva, fatta propria dal presidente della Corte, giudice Amos Pagnamenta, che ha infine pronunciato una sentenza mite, quasi “comprensiva” rispetto all’uomo e alle sue molte difficoltà. Per Pagnamenta non vi fu il tentato omicidio intenzionale prefigurato nell’atto d’accusa dalla pp Lanzillo, ma unicamente i reati di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, e l’esposizione a pericolo della vita altrui. Tradotto in pena: 24 mesi di detenzione, di cui però soltanto 10 da espiare e gli altri sospesi per 2 anni. A discrezione dell’imputato, infine, il sottoporsi o meno ad un trattamento ambulatoriale.