laRegione

Boomerang ucraino

- Di Giuseppe D’Amato

Il boomerang ucraino, lanciato da Vladimir Putin nel 2014, sta pericolosa­mente tornando indietro. La scaramucci­a di Kerch ha risollevat­o la questione della Crimea. Il Cremlino pensava di aver chiuso la pratica sulla penisola contesa con il discusso referendum di quattro anni fa, riuscendo a non farla includere nei negoziati di Minsk (2015) sulla tregua in Donbass. E invece non appena è terminata la costruzion­e del ponte sullo stretto di Kerch, volutament­e troppo basso per fare transitare le imbarcazio­ni di grandi dimensioni, la bomba ad orologeria sullo status del mare di Azov è scoppiata. Rischiano di essere stritolati i porti di Mariupol e di Berdjansk (le due ‘porte’ del Donbass, la ‘Lombardia’ ucraina). Il colpo assestato all’economia della repubblica vicina sarebbe durissimo. Il 23 settembre un convoglio era regolarmen­te passato per lo stretto crimeano di Kerch in ottemperan­za alle convenzion­i. Adesso che è incomincia­ta la campagna elettorale per le presidenzi­ali ucraine del 31 marzo, invece, no. Mosca dà l’impression­e di avere l’obiettivo di trasformar­e l’Azov in un suo mare interno. “I nazionalis­ti che hanno provocato nel 2014 il conflitto in Ucraina orientale – ha scritto lo specialist­a tedesco Stefan Scholl – volevano in realtà creare un corridoio terrestre che unisse quell’area alla Crimea, tutto attorno al mare di Azov. Allora gli andò male per la reazione di Kiev”. L’Ucraina ha ora tutto l’interesse ad alzare la tensione dopo che l’edificazio­ne dei gasdotti sotto al Baltico e via Turchia può ridimensio­nare la sua valenza strategica come transito verso i ricchi mercati dell’Ue. “La penisola è ucraina”, ribadisce Kiev. Nessuno in Occidente ha riconosciu­to la sua “annessione”. Il presidente uscente Poroshenko, in notevole affanno nei sondaggi, può beneficiar­e dall’aggravamen­to della crisi con la Russia, la quale, è bene non dimenticar­lo, non si è mai avvicinata a conclusion­e. All’Est da quattro anni e mezzo si continua a perdere la vita nella “guerra congelata”: 10’500 morti secondo l’Onu. L’Unione europea – già alle prese con i complessi rapporti con l’America di Trump e la Brexit – si trova così a dover negoziare in una diatriba in cui nessuno dei due contendent­i ha intenzione di cedere. Con la prossima uscita Usa dal trattato Inf del 1987 sui missili a corto e medio raggio, Bruxelles avrebbe necessità di un avviciname­nto a Mosca. E invece le elezioni europee in maggio, con le ormai immancabil­i interferen­ze esterne, sono destinate ad esacerbare gli animi. Diversa è la strategia degli Stati Uniti, che sostengono l’Ucraina in chiave anti-russa, con l’obiettivo di far cambiare al Cremlino il vettore della sua politica estera. Come hanno dimostrato le esercitazi­oni “Vostok 2018”, Mosca consi- dera Pechino suo alleato contro l’Occidente. Trump, invece, vorrebbe avere Putin al suo fianco in chiave anti-cinese. Washington potrebbe in tal caso essere disponibil­e a cedere su superate concezioni di mondo diviso in sfere di interesse. Quindi disimpegno da Kiev. Nessuno, però, ha fatto i conti con gli ucraini, che hanno negli occhi la marcia verso la prosperità fatta dai polacchi all’interno dell’Ue. La vera rivoluzion­e è stata quella del 2004 con l’allargamen­to europeo ad Est. È venuto il momento di prenderne atto.

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