L’Ucraina chiude fuori i russi
Mosca – Kiev inizia a usare i margini offerti dalla legge marziale e stringe le maglie nei confronti della Russia. Ieri il presidente ucraino Petro Poroshenko ha vietato l’ingresso nel Paese a “tutti gli uomini russi tra i 16 e i 60 anni”, così da impedire a Mosca di formare distaccamenti di “eserciti privati”. Omini verdi, insomma, così come avvenuto ai tempi della secessione della Crimea. Non solo. Nella penisola contesa non potranno più entrare (dall’Ucraina) “cittadini stranieri”, in particolar modo russi, considerati “gruppo a rischio”. Mosca, per bocca della portavoce del Ministero degli esteri Maria Zakharova, ha fatto sapere che non risponderà in modo speculare per evitare che si arrivi al “delirio”. Poi ha affondato il colpo: “L’Ucraina rischia di sprofondare nella guerra civile”. Intanto i servizi di sicurezza ucraini hanno perquisito l’abitazione di padre Pavel, superiore della Pecherska Lavra, il più antico e importante monastero di Kiev, parte della Chiesa ortodossa russa, ora accusato di “incitamento all’odio”. Una mossa che segue alla disputa tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli sulla concessione dell’indipendenza alla Chiesa ucraina. Lo scontro ha congelato le relazioni con gli Usa in vista del G20, col summit Trump-Putin declassato a ‘incontro volante’. La Casa Bianca spiega la decisione proprio in ragione della crisi ucraina, anche se molti scorgono l’ombra del Russiagate: l’ex avvocato di Trump Michael Cohen ha di fatto ammesso che gli affari del palazzinaro a Mosca – col piano per costruirvi una Trump Tower – si sono intrecciati con le elezioni. Il Cremlino, visto che l’Ucraina è tornata sotto i riflettori, ha chiesto agli Usa un esame di coscienza dato che “il futuro del Paese è stato disegnato su ordine di diplomatici, funzionari e rappresentanti delle agenzie di sicurezza statunitensi”, culminando nei fatti del 2013-2014 (la rivolta del Maidan), da sempre bollati come un “colpo di Stato” fomentato da Washington e Bruxelles. Parole ormai vuote, mentre sulla linea del fronte, nel Donbass come sul mare d’Azov, si teme ogni giorno di più che qualche passo avventato possa far precipitare la situazione.