Peran, tre anni o assoluzione
Il pp Paolo Bordoli chiede la detenzione e l’interdizione dalla professione di legale dell’imputata
L’avvocata si è difesa per oltre un’ora ieri in chiusura di processo, passando al contrattacco dei suoi ex clienti italiani, segnalati dalla legale per sospetto riciclaggio
«Ho atteso dieci anni, ora lasciatemi parlare». Al quarto e sospirato ultimo giorno di processo (la campanella della presidente della Corte d’appello è suonata a buio calato da ore) ieri l’avvocata Xenia Peran s’è presa oltre un’ora di tempo in sede di ‘ultima parola’ al processo che la vede imputata per reati patrimoniali in una vicenda giudiziaria complessa e infinita, iniziata il 13 dicembre 2010 con una perquisizione e il sequestro di tutti gli incarti nel suo studio legale di Lugano per il principale sospetto di appropriazione indebita. Peran ha rigettato le accuse agli accusatori privati – due ex facoltosi clienti italiani che l’hanno denunciata e l’ex presidente del Napoli calcio ai tempi di Maradona, Corrado Ferlaino – e ai loro rappresentanti legali in aula, gli avvocati Mario Postizzi e Massimo Bionda. Interrotta e ammonita a più riprese dalla presidente della Corte, Francesca Verda Chiocchetti, l’imputata più difficile ha proseguito, in piedi, rivolgendosi maggiormente verso il pubblico che verso i giudici, con la sua verità, sostenendo di essere vittima dell’intera vicenda giudiziaria. Xenia Peran ne ha avute per tutti, anche per il suo avvocato di difesa, Edy Meli, «è stato troppo blando nella sua arringa», dopo che pochi minuti prima aveva concluso il suo intervento chiedendo il proscioglimento da tutti i reati e, in caso di assoluzione, un risarcimento milionario - complessivamente oltre 6,5 milioni – per il danno economico patito e per torto morale. L’assunto di Peran è sostanzialmente quello di aver compiuto il proprio dovere: aver segnalato per sospetto riciclaggio i suoi clienti italiani, confrontati con guai con la giustizia e che intendevano scudare i propri ingenti averi, e ottenere il sequestro delle loro somme, circa 2 milioni di euro.
La sentenza senza lettura pubblica
Tre anni di carcere da espiare e interdizione per tre anni dalla professione di avvocata. Questa è stata la proposta di condanna formulata dal procuratore pubblico Paolo Bordoli nei confronti dell’avvocata luganese. Il magistrato ha aumentato notevolmente la richiesta di pena rispetto alla condanna inflitta nel primo processo dalle Assise criminali di Lugano, quando la sentenza era stata di 2 anni di carcere sospesi con la condizionale per ripetuta appropriazione indebita aggravata, ripetuta sottrazione di cose requisite e sequestrate, ripetuta coazione, ripetuta soppressione di documenti requisiti e sequestrati, ripetuta diffamazione e tentata coazione. I
rappresentanti legali delle parti denuncianti, Postizzi e Bionda, che hanno detto di rinunciare a querelare l’imputata in seguito ai ripetuti insulti avvenuti nelle diverse fasi dibattimentali, hanno chiesto dal canto loro la conferma dell’impianto accusatorio, sostenendo come Xenia Peran abbia utilizzato
i soldi dei clienti come se fossero stati suoi. Insomma, due verità a confronto. Nella sua arringa, Meli ha detto che l’intera vicenda avrebbe dovuto essere di natura civile e non penale. «Perché i tre denuncianti italiani, rivoltisi alla avvocata Peran sostanzialmente per scudare i
loro averi dal fisco, non si sono rivolti a un giudice civile?», ha insistito l’avvocato Meli. La Corte di Appello emetterà la sentenza solo nelle prossime settimane e, d’accordo con le parti, rinuncerà alla lettura pubblica del dispositivo, trasmettendo il verdetto solo ad avvocati e procuratore pubblico.