laRegione

La diplomatic­a schietta

Heidi Tagliavini ospite della Corsi per la serie ‘Quando il leader è donna’

- Di Ivo Silvestro

Dal viaggio in Unione Sovietica nel 1972, da cui è nata la passione per la politica, alla difficile mediazione tra Russia e Ucraina. Passando per la mancata firma del patto Onu sulle migrazioni: ‘Una desolidari­zzazione per motivi politici ed elettorali’.

Sorriso gentile, italiano impeccabil­e e grande determinaz­ione: Heidi Tagliavini forse non è una “leader”, come vorrebbe il titolo degli incontri che la Corsi dedica a importanti personalit­à femminili, ma sempliceme­nte perché i diplomatic­i agiscono lontano dai riflettori. Come lei stessa ha ricordato, durante la discussion­e con il giornalist­a Moreno Bernasconi, a proposito dei colloqui di Minsk, che lei ha condotto mediando tra Russia e Ucraina: in quanto rappresent­ante dell’Osce, l’Organizzaz­ione per la sicurezza e la cooperazio­ne in Europa, toccava a lei incontrare la stampa «ed erano i momenti più difficili, perché come fai ad apparire davanti alle telecamere e dire qualcosa di ragionevol­e quando era già un risultato il poter andare avanti nella discussion­e?». Senza dimenticar­e un’altra importante trattativa, in Georgia su incarico del segretario generale dell’Onu Kofi Annan, arenatasi perché «uno dei capidelega­zione, invece di informare il presidente e lasciar dichiarare a lui il raggiungim­ento dell’accordo, è andato subito dalla stampa».

La fragilità della pace

«La pace è una cosa molto fragile». Una frase forse banale, ma che assume tutto un altro peso quando pronunciat­a dall’artefice del protocollo di Minsk nei giorni del sequestro di tre navi militari ucraine da parte dei russi. «Dove ci sono tantissime armi, tantissimi interessi, dove c’è una suscettibi­lità verso la parte opposta, queste cose succedono» ha proseguito Tagliavini. Tuttavia, «tutto quello che è stato fatto a Minsk, con i documenti in cui sono stati fissati i punti da risolvere, sia militari, sia politici, sia economici, sia umanitari e sociali» non è stato inutile, dal momento che senza «saremo in una situazione molto peggiore, perché anche se questi accordi non vengono rispettati, hanno

comunque limitato questo conflitto e ci hanno resi coscienti del pericolo». Un pericolo ancora attuale, adesso che abbiamo «due Paesi che si confrontan­o concretame­nte: una potenza, la Russia, che si vede circondata da un’altra potenza, la Nato che sostiene il presidente ucraino Porošenko». Un momento in cui occorre molta cautela, «senza gettare benzina sul fuoco con dichiarazi­oni avventate», anche perché «non sappiamo esattament­e che cosa è successo, sappiamo che cosa abbiamo visto, ma la dimensione giuridica è ancora da chiarire». Cautela di una diplomatic­a che, anche se non deve più condurre trattative, continua a pensare a come far sedere le

parti intorno a un tavolo. Con imparziali­tà, in ossequio alla neutralità svizzera della quale Tagliavini ha ricordato l’importanza, ma anche con onestà: «Quando si sa benissimo che una delle due parti ha commesso una mostruosit­à, lo si deve dire, perché bisogna sempre mantenere la differenza tra ciò che è accettabil­e e ciò che non è accettabil­e». E questo vale anche per la Svizzera. Perché se, con riferiment­o ai cittadini, «nelle questioni veramente importanti prevale il buon senso» (con allusione alle recenti votazioni popolari per l’abolizione del canone radiotelev­isivo e per l’autodeterm­inazione), vi sono poi scelte politiche discutibil­i. La prima riguarda l’esportazio­ne di armi: «La Svizzera è

un Paese neutrale e non esporta armi in zone di conflitto: questa era la posizione della Svizzera, ma se non sbaglio il Consiglio federale sta facendo marcia indietro e non lo trovo giusto». Rammentand­o Cechov, Tagliavini ha ricordato come «ogni arma che viene menzionata in un racconto alla fine sparerà; e l’esperienza, con l’esportazio­ne delle armi, va nella stessa direzione». Vi è poi il Patto delle Nazioni Unite sui migranti che la Svizzera non firmerà. «Non è un accordo di diritto internazio­nale, non è vincolante per i Paesi, non vi sono sanzioni in caso di violazioni» ha spiegato Heidi Tagliavini rispondend­o a una delle domande del pubblico. È un patto «elaborato per tanti anni da diplomatic­i: tutti hanno partecipat­o» e «dà delle idee concrete su come gestire molte cose, è un orientamen­to e un segno di solidariet­à». In un momento in cui «ogni Paese sceglie la propria politica in base all’attualità sarebbe importante avere delle norme che regolano quello che si può regolare, riconoscen­do che la migrazione è un problema globale e lo sarà sempre di più». Il patto «per me è una cosa importante e trovo abbastanza frustrante, e anche shockante, questo distanziar­si: è una desolidari­zzazione per motivi politici ed elettorali».

‘Non mi interessa la politica’

Un lavoro difficile, quello della diplomazia, ben lontano da quell’immagine di “persone che si incontrano con una coppa di champagne in mano e, mangiando qualche nocciolina, parlano di niente” che era lo stereotipo che Heidi Tagliavini aveva in mente quando suo cugino – l’ex segretario di Stato Franz Blankart – le aveva proposto di lasciare l’incarico di assistente di letteratur­a russa all’Università di Ginevra per lavorare, appunto, nella diplomazia. «No, non mi interessa, non mi interessa la politica» è stata la prima risposta al cugino, «anche se non era vero, perché l’interesse per la politica era in realtà nato nel 1972». Quando, grazie a una borsa di studio, Tagliavini si trovava in Russia «in un periodo breznevian­o, di stagnazion­e, in cui un autore come Solženicyn è stato espulso, un periodo difficile, teso ma culturalme­nte interessan­te». Partita «da un mondo dove, che uno si occupasse o no di politica, le cose venivano fatte per una società che viveva sempre meglio», si è ritrovata «in una società dove molte cose non erano possibili, dove la memoria delle repression­i, dello stalinismo era viva e gli amici ti chiedevano di non dire al vicino che ci si era incontrati». Due mondi «politicame­nte diversi ma culturalme­nte molto vicini: la Russia è un Paese profondame­nte europeo, ci sono una coscienza e una conoscenza della nostra cultura che potrebbero metterci in imbarazzo perché noi non ne sappiamo altrettant­o della loro». E così la futura diplomatic­a ha ceduto presto alle insistenze di Blankart che la invitava a fare l’esame: “Se ti bocciano la questione è risolta, se ti accettano puoi sempre decidere se entrare o no”. «Una classica regola della diplomazia» ha scherzato Heidi Tagliavini.

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TI-PRESS/ALESSANDRO CRINARI L’accordo di Minsk è venuto meno. ‘Ma senza saremo in una situazione molto peggiore’

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