Le ragioni dello ‘scriba’
L’ospite / A due anni dalla morte, un convegno internazionale ricorda Giovanni Orelli Scrittore, insegnante, politico sostenuto da rigore morale e senso dell’impegno civile, Orelli ha colto a fondo il volto ambiguo della nostra regione. Non lo si racchiud
Cinque anni dopo la morte di Giorgio Orelli, su proposta di Fabio Pusterla e Pietro De Marchi, in collaborazione con la Fondazione Curzùtt e l’Istituto di studi italiani dell’Usi, è stato istituito dalla Città di Bellinzona un premio annuale con il suo nome. Pusterla precisa che “per il momento” i premiati dovrebbero essere figure eminenti che hanno un profilo e un’importanza universalmente riconosciuti. Questa regola lascia perplessi: chi giudica e stabilisce la sostanza di un riconoscimento universale degli autori da premiare? Quali sono i criteri di giudizio, oltre a quello d’escludere chi opera nella Svizzera italiana che, per ovvie ragioni di dimensione, non può reggere il confronto con l’Italia? Oltre al vizio tutto provinciale di stabilire gerarchie e sgomitare per mettersi fra i primi, applicando questa norma non vi è il rischio di un ritorno al corporativismo, medioevale per le professioni e fascista per la storia e la cultura di un ventennio del secolo scorso?
Contro ogni gerarchia
A mio parere, molto modesto, il fatto che Giorgio Orelli abbia scritto poesie musicate da Lucio Dalla lo pone lontano dalle intenzioni di chi vuol rinchiuderlo, con dissertazioni intellettualistiche, incomprensibili per la gente comune, in categorie esclusive. Per una risposta esaustiva a questo problema è forse necessario soffermarci a riflettere, allo scopo di giungere a una sana reazione di opposizione alla costituzione di gerarchie. Da non dimenticare che gli scrittori appartengono a una classe composta in larga parte da docenti di liceo o d’università che scrivono con la certificazione accademica di un titolo aristocratico di vecchio regime. Prolificano in queste curiose compagnie gli amici che si scambiano favori invece del sapere. Da qualche tempo, infatti, i letterati, salvo rarissime eccezioni, hanno trascurato il lavoro critico che a loro compete per promuoversi a vicenda in circoli chiusi. Neanche più esiste un tenue riflesso del lavoro critico di Francesco de Sanctis, di Benedetto Croce, su, su fino a sfiorare l’altra critica anti
dogmatica di Antonio Gramsci e, in particolare, di György Lukács. Furono questi i grandi censori della letteratura che si riflettevano da noi nei Calgari, nei Bonalumi, nei Bellinelli, in Piero Bianconi, in Mario Agliati e in Bixio Candolfi. Tutta gente che con generosità si prodigava nella scuola, alla radio e in tv per gli altri, soprattutto per i giovani. L’analisi dell’assegnazione dei premi federali negli ultimi anni e i privilegi concessi agli scrittori depositari delle loro carte all’Archivio federale di letteratura, conferma questa tesi e dovrebbe far riflettere sui principi e le ragioni fondanti della letteratura. L’arte della scrittura dovrebbe essere intesa, tanto per chi scrive, quanto per chi legge, non come attività per suscitare compiacimento e piacere autoreferenziale, ma uno strumento per ristabilire percorsi, sia personali, sia sociali, in cui l’etica e il valore della politica abbiano ancora un senso.
Intellettuali innocui e silenti
La situazione attuale e la concessione di privilegi e prestigio a pochi sono eredi di una seconda metà del Novecento che ha favorito, oltre ogni misura, gli scrittori appartenenti politicamente alla sinistra. Tuttavia di tutti questi privilegiati nessuno si scompose o scrisse qualcosa quando il governo di destra del primo ministro ungherese Viktor Orbán ha deciso di rimuovere dal Parco San Istvan di Budapest la statua dell’importante filosofo e critico letterario György Lukács. Secondo l’analisi del sociologo Ralf Dahrendorf, la politica, nel secondo Novecento, aveva assegnato la gestione della cultura alla sinistra e dell’economia alla destra per assicurarsi, dal centro, il controllo di entrambe. Fu, quello, un periodo fertile per gli scrittori americani introdotti in Italia da Fernanda Pivano. Nessuno di loro era un letterato e pochi avevano frequentato un’università, tuttavia scrivevano capolavori, allora letti da tutti e oggi sostituiti da opere “minimaliste” di spessore, prive di buon senso etico e povere di contenuti, che non vanno oltre un generico trastullo intellettuale. Gli scrittori, da noi, compresi quelli “universalmente riconosciuti”, vivono grazie ai soldi pubblici, intesi come stipendi, assegnazioni di borse della Pro Helvetia e premi elargiti dalla Confederazione. Lo Stato li stipendia e li mantiene con il fine, supposto, di garantire la presenza di attori e operatori culturali con una particolare sensibilità sociale per la difesa dei valori fondanti della Confederazione, quali la libertà, l’uguaglianza e un po’ meno, per motivi ideologici di una sinistra che prescrive ossessivamente l’odio per la borghesia, la fratellanza.
Testa fra le nuvole, piedi nel fango
Il 6 e il 7 dicembre si terrà a Berna, nella sede della Biblioteca nazionale, un convegno definito dai promotori “internazionale” sull’opera di Giovanni Orelli. L’organizzazione è di Giovanna Cordibella, dell’Università di Berna e di Annetta Ganzoni dell’Archivio svizzero di letteratura. Il titolo dell’evento che si prefigge di presentare l’opera dello scrittore alla luce di nuove ricerche e prospettive è: Gioco e impegno dello “scriba”. Non è chiaro perché si è definito, seppur messo fra virgolette, il nostro scrittore come uno scriba. Il sostantivo qualifica lo scrivano, l’amanuense; nell’uso attuale, lo scrittore di scarsa capacità e inventiva. Da non ignorare neanche il particolare che gli scribi, nella tarda età biblica e nella prima postbiblica, erano gli ebrei seguaci del farisaismo, caratterizzato da un accentuato formalismo religioso. Ma lasciamoci sorprendere. Senza dubbio sarà chiarito l’equivoco sorto dall’uso di un lemma che dà una caratterizzazione paradossalmente negativa a una persona di grande valore, soprattutto umano, come fu Orelli. Non si può che essere d’accordo con la locandina del convegno quando afferma che: “Giovanni Orelli è tra gli scrittori in lingua italiana più eclettici e produttivi della Svizzera. Sperimentatore di più generi, Orelli ha saputo coniugare una sapiente cultura letteraria con tendenze innovatrici della contemporaneità, istanze ludiche e satiriche con un assiduo impegno civile”. Di particolare interesse è il riconoscimento del suo impegno civile, inteso anche come opposizione al tentativo di creare gerarchie e stabilire un’aristocrazia di letterati i cui titoli di merito sono le lauree, i premi letterari ricevuti e il consenso ottenuto dallo scrittore, soprattutto quando, in ambito politico e sociale, non ha mai disturbato nessuno. Giovanni Orelli non era “solo” scrittore. Fu sempre impegnato politicamente. Cosciente che il buon politico ha sempre la testa fra le nuvole e i piedi nel fango, riuscì con le sue critiche a disturbare la Lega dei Ticinesi al punto che da un colonnello leghista gli fu augurata la morte. Trascorsi pochi giorni, a Giovanni Orelli fu assegnato dall’Università di Friborgo il titolo di dottore h.c. e assieme a Peter Bichsel, il Grande Premio Schiller...